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Cronaca

A Vercelli il tennis si gioca... con la cocaina. Palle da tennis “ripiene” lanciate nel carcere: scoperto lo spaccio dietro le sbarre

Gli agenti della Polizia Penitenziaria hanno sequestrato droga, un telefono e una chiavetta USB in diverse celle. Il SAPPE elogia la professionalità dei “Baschi Azzurri” e lancia l’allarme: “Le carceri italiane sono diventate supermercati della droga”.

A Vercelli il tennis si gioca... con la cocaina. Palle da tennis “ripiene” lanciate nel carcere: scoperto lo spaccio dietro le sbarre

A Vercelli il tennis si gioca... con la cocaina. Palle da tennis “ripiene” lanciate nel carcere: scoperto lo spaccio dietro le sbarre

Nel carcere di Vercelli lo spaccio non si ferma nemmeno dietro le sbarre. Le rotte della droga passano ora… per i campi da tennis. Negli ultimi giorni, infatti, la Polizia Penitenziaria ha scoperto un metodo tanto ingegnoso quanto inquietante con cui gli stupefacenti vengono introdotti all’interno della Casa circondariale: palline da tennis lanciate dall’esterno del perimetro, con cocaina e cannabis nascoste al loro interno. Una modalità degna di un film, che però conferma quanto la realtà delle carceri italiane sia ormai ben più complessa e pericolosa di quanto si voglia ammettere.

Durante una serie di controlli mirati su più detenuti e in diverse celle, gli agenti hanno rinvenuto e sequestrato non solo droga, ma anche un telefono cellulare e una chiavetta USB. Strumenti che, all’interno di un penitenziario, valgono oro e possono diventare pericolosi mezzi di comunicazione con l’esterno. A darne notizia è il Sindacato Autonomo di Polizia Penitenziaria (SAPPE), che elogia il lavoro dei cosiddetti “Baschi Azzurri”.

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“Il tempestivo intervento e l’attenzione del personale di Polizia Penitenziaria di Vercelli hanno permesso di individuare e sequestrare la sostanza stupefacente che diversi detenuti occultavano sulla propria persona o in oggetti in loro possesso”, spiega Vicente Santilli, segretario regionale del SAPPE per il Piemonte. “È l’ennesima dimostrazione della professionalità e dell’esperienza delle donne e degli uomini che ogni giorno operano in condizioni difficilissime per garantire la sicurezza dentro il carcere”.

L’episodio che più ha colpito gli agenti è avvenuto pochi giorni fa: “Due persone si aggiravano con fare sospetto attorno al muro di cinta”, racconta ancora Santilli. “L’attenta vigilanza dei nostri agenti ha permesso di fermarle: avevano tentato di lanciare all’interno del carcere delle palline da tennis al cui interno erano state nascoste dosi di cocaina e cannabis”. Un espediente che conferma quanto la fantasia dei corrieri della droga si spinga oltre ogni limite, sfruttando ogni possibile varco o occasione per alimentare lo spaccio anche dentro le mura penitenziarie.

Il sindacato ha espresso “vivo apprezzamento per l’operato del personale” e ha invitato l’amministrazione penitenziaria “a fornire supporto adeguato per contrastare l’introduzione di sostanze e oggetti illeciti negli istituti di pena”.

Sulla vicenda interviene anche il segretario generale del SAPPE, Donato Capece, che parla di “battaglia silenziosa”condotta quotidianamente dagli agenti. “Ogni giorno la Polizia Penitenziaria combatte per impedire che le carceri italiane diventino veri e propri mercati di droga, aggravati dall’elevato numero di tossicodipendenti tra i detenuti”, sottolinea Capece. “L’attività di intelligence e di controllo è fondamentale, e servono sempre più formazione e strumenti per i nostri agenti, anche sul fronte della prevenzione e del contrasto allo spaccio”.

Capece affronta anche il tema strutturale: “Il problema non si risolve con il metadone. Bisogna portare i tossicodipendenti nelle comunità terapeutiche: un detenuto costa allo Stato circa 200 euro al giorno, mentre in comunità ne costa tra 50 e 80. Non solo spenderemmo meno, ma potremmo davvero salvarli, restituendo una vita anche alle loro famiglie. La tossicodipendenza non è solo un dramma individuale, è un dramma collettivo”.

Il segretario cita l’esperienza virtuosa del carcere di Rimini, dove oltre vent’anni fa fu creata una sezione sperimentale di 16 posti destinata ai detenuti che accettavano di impegnarsi in un percorso di recupero: “Studio, lavoro, niente più metadone. Dopo sei mesi o un anno, chi completava il percorso andava in comunità e veniva recuperato. Modelli come questo dovrebbero essere replicati in tutta Italia. Così si combatte davvero la recidiva e si alleggerisce il sovraffollamento”.

Capece conclude ricordando il ruolo fondamentale della Polizia Penitenziaria come pilastro della sicurezza nazionale: “Sicurezza e diritti sono due facce della stessa medaglia. La pena deve servire al ritorno alla vita civile del detenuto, non alla sua esclusione. Stare accanto agli agenti penitenziari significa difendere lo Stato e il suo compito più delicato: far sì che la giustizia non si trasformi in abbandono”.

Un’inchiesta interna cercherà ora di chiarire come le sostanze siano effettivamente arrivate nelle celle, e se vi sia una rete organizzata dietro i tentativi di lancio. Ma una cosa è certa: a Vercelli, come in molti altri istituti italiani, la lotta alla droga dietro le sbarre è tutt’altro che vinta. E ogni pallina da tennis lanciata verso il carcere ricorda che, tra quelle mura, il confine tra dentro e fuori è sempre più sottile.

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