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Cronaca

"Sono stata appesa per i polsi e colpita sul viso": il racconto shock della fotoreporter ebrea sequestrata sulla nave Conscience

La testimonianza di Noa Avishag Schnall dopo l’arresto della Freedom Flotilla: il silenzio dell’Italia sul sequestro dell’ospedale galleggiante partito per Gaza

"Sono stata appesa per i polsi

"Sono stata appesa per i polsi e colpita sul viso": il racconto shock della fotoreporter israeliana sequestrata sulla nave Conscience

Ancora una volta, l’Italia tace. Di fronte a un atto che ha violato il diritto internazionale, negato il principio di umanità e tradito la solidarietà tra popoli, il nostro governo non ha avuto la forza – né forse la volontà – di protestare. Nessuna nota formale, nessuna condanna, nessuna voce ufficiale si è levata per difendere i diritti di chi, partendo dal nostro Paese, aveva scelto di portare soccorso dove la guerra ha lasciato solo macerie e dolore.

Il sequestro della Conscience, la “nave della coscienza”, da parte dell’esercito israeliano in acque internazionali, rappresenta una pagina oscura non solo per chi l’ha subita, ma anche per chi ha deciso di ignorarla. A bordo c’erano medici, infermieri, giornalisti e volontari di diverse nazionalità, partiti dall’Italia con un carico di medicinali, apparecchiature chirurgiche e materiale sanitario destinati agli ospedali di Gaza, ormai allo stremo dopo mesi di bombardamenti e blocchi umanitari.

La Freedom Flotilla Coalition, di cui la Conscience era l’ammiraglia, aveva un solo obiettivo: portare aiuti medici e umanitari in una zona assediata dove, come denunciano da mesi le organizzazioni internazionali, mancano anestetici, antibiotici e strumenti di base per operare. Eppure quella missione pacifica, salpata nel nome della cura e della vita, è stata trattata come una minaccia.

Le testimonianze dei sopravvissuti parlano di un abbordaggio violento, di armi puntate e arresti indiscriminati. A raccontarlo con una lucidità dolorosa è Noa Avishag Schnall, fotoreporter israeliana ebrea che documentava la missione umanitaria e che, dopo giorni di detenzione, ha denunciato le violenze subite.

«Sono stata appesa per i polsi e per le caviglie, ammanettata con catene di metallo, colpita sullo stomaco, sulla schiena, sul viso, sull’orecchio e sulla testa da un gruppo di guardie, uomini e donne, una delle quali si è seduta sul mio collo e sul mio viso, impedendomi di respirare.»

Le sue parole – arrivate dopo la liberazione – sono il simbolo più drammatico di una verità che molti preferiscono non guardare: chi si impegna per la pace, per la cura, per la dignità umana, oggi viene trattato come un criminale.

La Conscience, lunga 68 metri, era stata trasformata in un ospedale galleggiante, un simbolo di umanità in mezzo al mare. I suoi equipaggi avevano risposto a un appello disperato proveniente da Gaza, quello dei medici che ogni giorno operano in condizioni disumane. In una lettera che ha commosso il mondo, gli operatori sanitari della Striscia avevano scritto:

«Non ce la facciamo più. Da quasi due anni arrivano continuamente feriti gravi, ogni giorno, ogni ora. Non abbiamo abbastanza sale operatorie né letti, perché molti ospedali sono stati bombardati. Lavoriamo fino allo sfinimento: molti colleghi sono stati uccisi, quindi dobbiamo coprire più turni. Non abbiamo anestetici né antidolorifici. Operiamo e amputiamo bambini e adulti senza poterli addormentare. La mente cede, le mani ci tremano. Aiuto! Venite a darci il cambio, anche solo per quindici giorni.»

La Conscience era la risposta a quel grido. Una missione non violenta, un atto di resistenza umanitaria nato dal desiderio di restituire un po’ di dignità al popolo palestinese e di riaffermare il diritto universale alla cura e alla vita.

Eppure, il silenzio istituzionale che ha accompagnato il suo sequestro è assordante. Nessuna reazione ufficiale da parte del governo italiano, nonostante la nave fosse salpata dal nostro territorio e vi fossero a bordo anche cittadini italiani. Nessuna protesta formale per la violazione del diritto internazionale né per il rapimento dei volontari.

Per la Freedom Flotilla Italia, è l’ennesima dimostrazione della “totale inadeguatezza” delle istituzioni, incapaci di tutelare i propri cittadini e di difendere i principi fondamentali dei diritti umani. Mentre la comunità internazionale si divide, la società civile – ancora una volta – tenta di colmare quel vuoto.

La storia della Conscience non parla solo di un sequestro, ma del fallimento morale di un’epoca. In cui la compassione viene sospetta, la solidarietà criminalizzata, la verità insabbiata.

Eppure, da quel silenzio imposto si leva una voce: quella dei medici, dei giornalisti, dei volontari che non hanno smesso di credere che aiutare chi soffre non sia un crimine, ma un dovere.

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