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18 Settembre 2025 - 16:12
All’istituto Salvemini di via Negarville, nel quartiere Mirafiori, un ragazzo affetto fin dalla nascita da una grave patologia neuromotoria e intellettiva sarebbe stato lasciato senza il necessario supporto durante l’anno scolastico 2021/2022. Una vicenda che non si è fermata tra le mura scolastiche ma che è approdata nelle aule del tribunale, dove sul banco degli imputati è finita la dirigente scolastica Barbara Floris, accusata dalla Procura di Torino di maltrattamenti e di gravi negligenze nell’organizzazione dell’assistenza allo studente.
Secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, il ragazzo – trasferitosi a Torino insieme alla madre in un momento già delicato della sua vita – avrebbe trovato nella scuola pubblica non l’inclusione e la tutela che la normativa italiana garantisce agli alunni disabili, bensì nuove barriere. Invece di essere accompagnato in un percorso educativo e riabilitativo rispettoso della sua condizione, si sarebbe scontrato con un sistema incapace di fornirgli ciò di cui aveva bisogno.
Al centro delle contestazioni vi è la mancanza di strumenti fondamentali per la sua autonomia, primo fra tutti il deambulatore, un ausilio indispensabile che gli avrebbe consentito di compiere movimenti quotidiani di riabilitazione e di mantenere un minimo di attività motoria. Senza quel supporto, il giovane sarebbe stato costretto a rimanere per ore intere immobile sulla sedia a rotelle, privato di ogni possibilità di esercizio e costretto a una condizione di ulteriore regressione fisica.
Alle carenze di tipo didattico e riabilitativo si aggiungono, secondo la Procura, quelle legate all’assistenza igienico-sanitaria. Dagli atti emergerebbe che il ragazzo sarebbe rientrato a casa in più occasioni sporco e in condizioni di trascuratezza, segno di un’attenzione insufficiente ai bisogni più elementari di chi necessita di cure costanti. Circostanze che, per l’accusa, avrebbero contribuito ad aggravare non solo la fragilità fisica, ma anche il già precario equilibrio psicologico del giovane.
Il processo in corso dovrà stabilire se queste omissioni possano configurarsi come maltrattamenti in senso pieno, punibili penalmente, o se debbano essere interpretate come carenze organizzative e gestionali non direttamente imputabili alla responsabilità personale della dirigente Barbara Floris. La linea di confine non è sottile: si tratta di stabilire se ci si trovi di fronte a una colpa grave e consapevole, oppure a un fallimento complessivo di un sistema scolastico che non riesce a garantire servizi adeguati.
Al di là dell’esito giudiziario, la vicenda riporta al centro del dibattito un tema che la scuola italiana continua a trascinarsi dietro da decenni: l’inclusione degli studenti con disabilità. Troppo spesso, nonostante leggi e regolamenti, il diritto allo studio dei più fragili rimane appeso alla buona volontà di singoli docenti o alla determinazione delle famiglie, costrette a denunciare pubblicamente per ottenere ciò che dovrebbe essere garantito di diritto.
Il Salvemini, istituto con centinaia di studenti e una lunga tradizione educativa, si trova oggi associato a un caso che rischia di diventare simbolico. Un simbolo non solo delle difficoltà quotidiane che la scuola incontra nell’accogliere chi vive una condizione di disabilità grave, ma anche della distanza tra principi e realtà. Nei documenti ministeriali l’inclusione è un valore irrinunciabile, nelle aule scolastiche spesso diventa un ostacolo insormontabile.
In attesa che i giudici facciano chiarezza, resta la domanda più drammatica e insieme più urgente: come può una scuola, luogo che dovrebbe rappresentare accoglienza, tutela e speranza, trasformarsi in teatro di presunti abbandoni? E soprattutto, quanto ancora dovranno aspettare i ragazzi più fragili per vedere riconosciuto pienamente il loro diritto a un’istruzione dignitosa e realmente inclusiva?
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