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Cronaca

Perché le madri ritirano denunce contro i figli? Ogni scarafone...

Un viaggio profondo tra cuore, mente e società: quando la denuncia si spegne sotto il peso di un affetto controverso

Perché le madri ritirano denunce contro i figli? Ogni scarafone...

Perché le madri ritirano denunce contro i figli? Ogni scarafone...

In un’aula di tribunale cala un silenzio che pesa più di qualunque sentenza. Una madre, dopo aver denunciato il figlio per stalking, si alza e decide di ritirare la querela. “Ho un cuore di mamma”, sussurra, con una voce che racchiude in sé dolore, amore e fragilità. Non è un caso isolato, ma un fotogramma di un film che si ripete spesso. L’episodio, riportato oggi da molti giornali, solleva una domanda che interroga la coscienza collettiva: perché tante donne, in particolare madri, scelgono di revocare le accuse contro i propri familiari autori di violenza?

mamma

Dietro a quel gesto, che può sembrare contraddittorio, c’è molto più di un sentimento istintivo. C’è un intricato intreccio di dinamiche psicologiche, culturali, sociali e giuridiche che spiega come il confine tra amore e paura, tra protezione e resa, sia spesso fragile e labile.

Il vincolo affettivo rappresenta uno degli elementi centrali. L’amore materno, definito dagli psicologi come amore ambivalente, può trasformarsi in una catena invisibile. Da un lato c’è la consapevolezza del danno subito, dall’altro il timore di infliggere al figlio una punizione definitiva, marchiandolo a vita con il peso di una condanna penale. Non si tratta solo di proteggere l’aggressore, ma a volte di tutelare la famiglia nel suo complesso, i figli minori, l’unità stessa del nucleo.

Le ricerche sottolineano come la paura sia un motore potente: paura di rotture irreparabili, di ritorsioni, di stigmatizzazione sociale, ma anche paura di non essere credute o sostenute dalle istituzioni. Una madre può convincersi che ritirare la denuncia sia l’unico modo per ridurre il rischio di ulteriori sofferenze, proprie o dei bambini coinvolti.

Un altro elemento non trascurabile è la pressione sociale. In molte comunità italiane, denunciare un familiare equivale a rompere un tabù, a sfidare un ideale radicato di famiglia unita ad ogni costo. La donna che denuncia rischia di essere isolata, giudicata, additata come traditrice dei valori domestici. Questo contesto culturale può spingerla a ritrattare, a rientrare nei ranghi, anche quando la violenza è evidente.

Eppure, la legge italiana prevede che le denunce per maltrattamenti siano procedibili d’ufficio. Significa che, anche se la vittima decide di tirarsi indietro, il procedimento può andare avanti, soprattutto se emergono elementi di intimidazione o manipolazione. È una norma pensata proprio per difendere chi, per paura o ricatto emotivo, si trova costretto al silenzio. Ma nella pratica, il sistema fatica a tradurre in protezione effettiva quello che sulla carta è un meccanismo di tutela.

Sul piano psicologico, le madri vivono un conflitto interiore lacerante. Si alternano sensi di colpa, speranze di redenzione, timori per il futuro. Molte si trovano in condizioni di isolamento, di dipendenza economica o affettiva dall’aggressore, e questo amplifica la difficoltà di mantenere la denuncia. Spesso la ritrattazione non è una scelta libera, ma il prodotto di una rete di pressioni sottili che imprigionano la donna in un circolo vizioso.

Gli esperti del Tribunale per i Minorenni segnalano che proprio questo è il momento in cui i servizi sociali dovrebbero intervenire con più decisione. Perché dietro il ritiro di una denuncia non si nasconde quasi mai la fine del problema, ma piuttosto il timore che nulla cambi davvero. Il rischio, allora, è che la violenza si perpetui in silenzio, protetta da un’apparente riconciliazione familiare.

I più vulnerabili restano i bambini. Spettatori spesso inconsapevoli di una dinamica di violenza assistita, crescono in un clima di instabilità che li segna a vita. Non è raro che i giudici dispongano misure drastiche, come l’allontanamento temporaneo del minore, per garantire la sua sicurezza. Ma l’efficacia di questi provvedimenti dipende da un sistema integrato di monitoraggio e sostegno, capace di leggere i segnali più nascosti di disagio infantile.

In ultima analisi, il ritiro delle denunce è un segnale che la società e le istituzioni non possono ignorare. È il sintomo di un sistema che ancora fatica a coniugare giustizia e cura, repressione e sostegno. Non basta incoraggiare la denuncia: occorre accompagnarla con percorsi reali di aiuto, psicologico ed economico, per le vittime e per le famiglie.

Il fenomeno non è un semplice paradosso emotivo, ma uno specchio che riflette le fragilità di un Paese ancora arretrato nella gestione della violenza domestica. Dietro ogni “cuore di mamma” che ritira una querela c’è una storia di dolore, speranza e paura che merita ascolto, comprensione e risposte concrete.

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