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Cronaca

«Ho un cuore di mamma»: ritira la denuncia contro il figlio, ma il processo per stalking va avanti

In tribunale a Torino una donna di 70 anni ha scelto di non procedere contro il figlio sottoposto a braccialetto elettronico. La giudice ha spiegato che l’azione penale proseguirà comunque per le accuse di stalking e lesioni al fratello, reati procedibili d’ufficio

Il cuore di una madre oltre la denuncia: il caso di stalking che scuote Torino

foto archivio

Si è presentata davanti alla giudice con passo lento ma deciso e, con voce rotta dall’emozione, ha pronunciato poche parole che hanno gelato l’aula: «Ho un cuore di mamma». Con questa frase una donna di 70 anni ha annunciato il ritiro della denuncia per stalking contro il figlio. Ma il procedimento non si ferma: il processo andrà avanti, perché la legge lo impone. L’uomo, già sottoposto al braccialetto elettronico, era stato arrestato nell’agosto del 2024 dopo anni di comportamenti persecutori nei confronti della madre, fatti di continue richieste di denaro e atteggiamenti vessatori che avevano trasformato la vita quotidiana in una trappola di paura e angoscia. Il suo passato racconta di una lunga battaglia con l’alcolismo e con la dipendenza da sostanze: tre anni trascorsi in una comunità a Mondovì, in provincia di Cuneo, che avevano dato l’illusione di una svolta, svanita in poco tempo con una nuova caduta nell’abuso di alcol e la ripresa delle condotte ossessive. In aula la donna ha ricordato come il figlio le avesse affidato un piccolo gruzzolo da custodire, denaro che avrebbe dovuto essere usato per le spese quotidiane, ma che si era presto trasformato in una fonte di richieste continue, sempre più pressanti, fino a costringerla a dire basta.

giudice

Il ritiro della denuncia, dettato da un sentimento di pietà e da quell’amore che non si spegne neppure davanti all’incubo di una persecuzione, non è bastato a fermare la macchina giudiziaria. La giudice ha spiegato che le accuse a carico dell’imputato non riguardano soltanto lo stalking, ma anche un episodio di lesioni nei confronti del fratello, che era intervenuto per difendere la madre durante una delle tante liti. Questo dettaglio è decisivo: le lesioni rientrano tra i reati procedibili d’ufficio e, una volta accertati dai magistrati, non possono essere archiviati per la sola volontà della persona offesa. La madre, quasi in cerca di rassicurazioni, ha chiesto se in caso di nuovi problemi i carabinieri sarebbero comunque intervenuti. La risposta è stata chiara: le forze dell’ordine non faranno mancare la loro protezione, anche a prescindere dal ritiro della denuncia.

Il caso di Torino si inserisce in un quadro giuridico più ampio, reso più stringente con l’introduzione del Codice Rosso, che dal 2019 ha rafforzato le tutele per le vittime di violenza domestica e di genere. Gli atti persecutori, disciplinati dall’articolo 612-bis del Codice penale, sono in linea generale perseguibili a querela, ma la legge prevede eccezioni precise: quando lo stalking si accompagna ad altri reati come le lesioni, o quando la vittima è particolarmente vulnerabile, la procedibilità diventa automatica e l’azione penale deve proseguire anche senza il consenso della persona offesa. È un meccanismo pensato proprio per evitare che il peso dei legami familiari o la paura di ritorsioni costringano chi subisce violenze a fare marcia indietro, lasciandolo esposto a rischi ancora maggiori.

Non è la prima volta che in un’aula di tribunale si assiste a scene simili. Spesso, soprattutto nei casi che riguardano rapporti familiari, le vittime decidono di ritirare le accuse, sospinte dalla speranza che l’imputato possa cambiare, o dal timore che una condanna finisca per distruggere del tutto un legame già fragile. Sono scelte che i magistrati conoscono bene e che hanno spinto il legislatore a sottrarre alla disponibilità delle vittime la sorte dei procedimenti più gravi, per garantire che la giustizia arrivi fino in fondo.

Il processo proseguirà dunque nelle prossime udienze, con la valutazione delle prove, delle testimonianze e delle perizie, per stabilire la responsabilità dell’imputato. Nel frattempo l’uomo rimane sottoposto a misure cautelari rigorose, mentre la madre continua a vivere in una condizione di equilibrio precario: da un lato non rinuncia a portargli la spesa e a mantenere un contatto, dall’altro convive con un dispositivo di allarme collegato direttamente ai carabinieri, pronto a scattare in caso di nuove minacce.

È l’immagine di una vicenda che racconta con chiarezza quanto sia difficile separare l’amore dalla paura, la speranza dalla rabbia, il diritto alla protezione dall’istinto di proteggere. «Ho un cuore di mamma» resta la frase simbolo di questa storia, una frase che racchiude il paradosso di un legame familiare che resiste anche di fronte alla violenza e che dimostra come la giustizia, in certi casi, sia costretta a farsi carico non solo dei reati, ma anche delle fragilità affettive e delle contraddizioni più intime che si consumano dentro le mura domestiche.

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