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Cronaca

Nove anni di dolore e silenzi. La lunga battaglia di Mauro Sardu e Ombretta Romanin, sopravvissuti alla strage di Nizza

Dopo un calvario burocratico lungo quasi un decennio, i coniugi torinesi sopravvissuti all’attentato del 14 luglio 2016 ottengono giustizia dal Tribunale di Torino: invalidità riconosciuta e assegni vitalizi. Ma i risarcimenti non sono ancora stati liquidati

Nove anni di dolore e silenzi. La lunga battaglia di Mauro Sardu e Ombretta Romanin, sopravvissuti alla strage di Nizza

Mauro Sardu e Ombretta Romanin

Nove anni di attese, di carte bollate, di silenzi e rifiuti burocratici. È durata quasi un decennio la battaglia di Mauro Giuseppe Sardu e Ombretta Romanin, marito e moglie torinesi sopravvissuti alla notte del 14 luglio 2016 a Nizza. Una serata che avrebbe dovuto essere di festa, con la folla radunata sulla Promenade des Anglais per i fuochi d’artificio della festa nazionale francese, si trasformò in una delle pagine più buie della storia europea recente. Un camion lanciato a tutta velocità travolse centinaia di persone, lasciando sull’asfalto 86 morti – tra loro sei italiani – e oltre 400 feriti. L’Europa intera fu sconvolta da quella strage, un colpo che colpì nel cuore la Francia e che segnò indelebilmente le vite di chi si trovava lì, compresi i due coniugi torinesi.

Se la Francia riconobbe immediatamente Sardu e Romanin come vittime del terrorismo, garantendo loro lo status e la medaglia nazionale, l’Italia scelse la via opposta. Prima la Prefettura di Torino, poi il Ministero dell’Interno negarono loro dignità e diritti, arrivando persino a sostenere che la coppia non si trovasse nemmeno a Nizza quella sera. Una posizione che per anni ha aggiunto umiliazione alla sofferenza, trasformando il trauma psicologico in una seconda ferita, inflitta non dal terrorista, ma dalla macchina burocratica del proprio Paese.

strage di nizza

Di fronte a questo muro, i due si sono rivolti all’Osservatorio Vittime del Dovere e all’avvocato Ezio Bonanni, che ha avviato una battaglia legale contro lo Stato italiano. Una battaglia che sembrava persa in partenza, ma che nel tempo si è trasformata in una delle cause simbolo sul riconoscimento delle vittime del terrorismo. Bonanni ha raccolto prove inconfutabili: documenti ufficiali del governo francese, tracciamenti GPS dei cellulari, certificati medici e persino il conferimento della medaglia nazionale alle vittime del terrorismo. Tutti elementi che hanno smentito una per una le tesi dell’Avvocatura dello Stato. Alla prima udienza, infatti, arrivò la svolta: la stessa Avvocatura fu costretta ad ammettere la presenza della coppia a Nizza, cancellando con un colpo di spugna anni di contestazioni pretestuose.

Il Tribunale di Torino, con una consulenza medico-legale, ha poi accertato le gravissime conseguenze psicologiche subite dai due coniugi: un disturbo post-traumatico da stress cronico che ha stravolto per sempre le loro vite. La sentenza ha fissato per entrambi un’invalidità del 43%, riconoscendo il diritto a un assegno vitalizio di 500 euro e a uno speciale assegno mensile di 1.033 euro. “Giustizia è stata fatta – ha commentato Ezio Bonanniquesta sentenza dimostra che Davide può vincere contro Golia. Due vittime del terrorismo che, grazie anche agli atti ufficiali del Governo francese, sono riuscite a ottenere la condanna di organi dello Stato italiano”.

Dietro la freddezza dei numeri, però, ci sono le vite spezzate di due persone comuni. Ombretta Romanin, insegnante di danza, ha dovuto chiudere la sua scuola e rinunciare al sogno di maternità. Mauro Sardu ha perso la professione e la rete sociale che lo sosteneva, ritrovandosi in una condizione di isolamento. “Abbiamo perso i nostri progetti di vita – raccontano – e solo grazie a questa sentenza ci sentiamo, almeno in parte, risarciti moralmente”. Ma la vittoria non ha cancellato le ferite: “Mi sento abbandonato dallo Stato al quale appartengo” dice Sardu, che si augura un intervento del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi contro chi ha costretto lui e la moglie a un calvario lungo nove anni.

La sentenza, pubblicata a maggio dal Tribunale di Torino, è ormai definitiva: il Ministero non ha presentato appello. Eppure, denunciano i legali, gli importi stabiliti non sono ancora stati liquidati. Una beffa che si aggiunge al dolore e che trasforma il riconoscimento giudiziario in un’ennesima attesa snervante.

La loro storia si intreccia inevitabilmente con quella delle sei vittime italiane della strage di Nizza, i cui nomi sono incisi nella memoria collettiva: Mario Casati, Maria Grazia Ascolese, Angelo D’Agostino, Gianna Muset, Francesco Piana e l’undicenne Brodie Copeland, che pur avendo origini statunitensi viveva in Italia ed era in vacanza in Francia con la famiglia. Per loro non ci fu battaglia legale, ma solo il dolore delle famiglie, che ancora oggi chiedono verità, memoria e giustizia. È il paradosso delle vittime “sopravvissute”: chi rimane vivo porta addosso ferite invisibili che spesso non trovano riconoscimento.

Il caso di Sardu e Romanin ha quindi un valore simbolico enorme: per la prima volta, un tribunale italiano ha affermato che i traumi psicologici non sono un danno minore, ma possono avere la stessa portata devastante di una menomazione fisica. Una conquista che apre la strada ad altri casi simili, perché in Italia non mancano le storie di vittime costrette a lottare per vedersi riconosciuti diritti elementari. La legislazione esiste, ma la sua applicazione resta segnata da ritardi, rigidità burocratiche e interpretazioni restrittive. E così, chi sopravvive a un attentato, a un attacco terroristico o a un’aggressione, si ritrova spesso a dover combattere non solo con i fantasmi del trauma, ma anche con l’indifferenza delle istituzioni.

La notizia della sentenza arriva in coincidenza con la Giornata mondiale delle vittime del terrorismo, celebrata il 21 agosto. Una ricorrenza che, come ricorda Ezio Bonanni, “non deve restare soltanto memoria, ma tradursi in una tutela concreta e non discriminatoria per tutte le vittime, anche per quelle i cui traumi non si vedono a occhio nudo”. Una giornata che serve a ricordare che dietro ogni numero ci sono volti, famiglie, storie di vite spezzate o cambiate per sempre. E che lo Stato non può permettersi di aggiungere dolore al dolore.

Il messaggio è chiaro: ricordare non basta. Occorre che le istituzioni si facciano carico concretamente delle vittime, senza differenze e senza cavilli. Chi sopravvive non deve essere costretto a una seconda battaglia contro la burocrazia e la diffidenza, ma deve poter contare su uno Stato che protegge e sostiene. Per chi cerca aiuto, l’Osservatorio Vittime del Dovere ricorda che è attivo il sito www.vittime-del-dovere.it e il numero verde 800 034 294.

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