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Cronaca
18 Agosto 2025 - 09:58
Piemontese partorisce da sola in spiaggia e abbandona la neonata tra i cespugli
Il mare, il silenzio, i cespugli. Una scena che dura pochi minuti ma lascia un segno profondo. Sulla spiaggia di Marina di Caulonia, sulla costa ionica calabrese, una donna di trent’anni ha partorito da sola e ha lasciato la neonata tra la vegetazione a pochi metri dalla riva. È accaduto nei giorni scorsi, ma la notizia è emersa il 18 agosto, accompagnata da un misto di sgomento e sollievo: la bambina è viva, sta bene, e ora è sotto tutela.
A salvarla sono stati due giovani del posto, che si trovavano in spiaggia per caso. Hanno notato qualcosa di insolito tra l’acqua e la sabbia, hanno capito e chiamato immediatamente i soccorsi. È stata la loro prontezza, unita all’intervento rapido del 118 e dei Carabinieri, a impedire che quella nascita si trasformasse in tragedia.
Secondo le prime ricostruzioni, la donna — una piemontese di 30 anni — avrebbe scelto deliberatamente di affrontare da sola il travaglio, immergendosi in acqua per poi partorire sul bagnasciuga. Aveva con sé una lama, con la quale ha reciso il cordone ombelicale. Il gesto non appare impulsivo, ma organizzato, almeno sotto il profilo pratico. Una decisione estrema, ma lucida. Dopo il parto, la neonata, del peso di circa tre chili, è stata adagiata tra i cespugli, viva ma abbandonata.
All’arrivo dei soccorritori, madre e figlia sono state portate all’ospedale di Locri per le cure e gli accertamenti. In reparto, la donna ha comunicato ufficialmente ai medici la volontà di rinunciare alla genitorialità, un diritto previsto dall’ordinamento italiano. La procedura, immediatamente attivata, prevede l’informazione all’autorità giudiziaria e una finestra temporale durante la quale la madre può rivedere la propria decisione. Fino a quel momento, la neonata resta ricoverata nel reparto di pediatria, in condizioni cliniche buone e stabili.
Se la madre non tornerà sui suoi passi, verrà attivato l’iter per l’affido temporaneo in attesa di individuare una nuova famiglia. È il percorso previsto dalla legge, che in casi come questi si muove tra protezione del neonato, rispetto della donna e garanzia dell’anonimato.
Questo caso solleva interrogativi, ma impone anche di non cedere al giudizio facile. La scelta di partorire da sola, in spiaggia, e poi lasciare la bambina — seppur in un luogo raggiungibile — parla di una solitudine radicale, forse di disagio profondo, forse di una condizione che ancora non conosciamo. Ma parla anche di una donna che, seppur nel modo più estremo, ha scelto di non fare del male, e di una neonata che oggi respira, si nutre, cresce protetta.
L’Italia prevede la possibilità del parto in anonimato in ospedale, un diritto ancora poco conosciuto ma fondamentale, che consente alla madre di non riconoscere il figlio e di garantirgli subito una rete di tutela. Esistono anche strumenti di supporto psicologico, sanitario, sociale, che però troppo spesso non intercettano chi ne avrebbe più bisogno.
Questa vicenda si è conclusa con una vita salvata, ma poteva andare molto diversamente. Ed è solo grazie a due ragazzi qualsiasi, a piedi nudi sulla sabbia, se oggi la bambina è viva. Il loro gesto è il primo anello di una catena silenziosa di protezione, che funziona solo se tutti — cittadini, forze dell’ordine, ospedali, tribunali — fanno la loro parte. Ora, tocca alla giustizia fare il resto. E alla comunità non dimenticare.
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