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Cronaca
05 Agosto 2025 - 13:02
Lorenzo Carnino è morto il 10 luglio 2017
Un gesto meschino. L’ennesimo. Uno tra tanti. Eppure fa male ogni volta come fosse la prima. Lo ha raccontato oggi, martedì 6 agosto, Monica Belardi, la mamma di Lorenzo Carnino, su Facebook. Ha pubblicato una foto. C’è un fiore. Quel fiore che lei porta ogni volta nel punto esatto in cui suo figlio ha perso la vita, in via alle Fabbriche a Caselle Torinese, il 10 luglio 2017. È un simbolo. Una memoria. Ma qualcuno, da anni, continua a strapparlo via.
“A te, il devastatore. Quel fiore lo porto io. Una madre. Nel punto esatto in cui mio figlio Lorenzo, a 16 anni, ha perso la vita. Non è un ostacolo. Non è un pericolo. È solo memoria, rispetto e dolore. Tu lo rimuovi sempre. Di nascosto, con fastidio. Ma non è colpa del fiore, è il ricordo che ti disturba. Sappi una cosa: puoi continuare a toglierlo. Io continuerò a riportarlo, come ho sempre fatto. Perché l’amore non si cancella, non si piega e non si sporca di gesti meschini.”
Un grido. Un messaggio diretto a chi continua a violare la memoria di un ragazzo morto a 16 anni nel luglio 2017, in sella alla sua moto da cross, mentre rincorreva la vita e i sogni. Uno schianto. Un attimo. Un destino che si è fermato contro un rimorchio di trattore. Asfalto bagnato, pioggia, velocità. Una tragedia. Due amici di Lorenzo hanno assistito alla scena, impotenti. Quando l’ambulanza è arrivata, non c’era già più nulla da fare.
Il fiore messo da Monica Bellardi per il figlio (a destra), strappato via ogni volta
Da allora, Monica porta un fiore. Sempre. Ogni volta. Non per abbellire una strada, ma per ricordare. Per gridare al mondo che lì, su quell’asfalto, ha perso suo figlio. Ma quel fiore – quel semplice gesto d’amore – da anni viene rimosso, rubato, vandalizzato. Sempre. Con ostinazione. Con cattiveria. Non è uno scherzo da ragazzini. È persecuzione. È accanimento. È violenza.
Già nel 2022 si parlava del caso. Anche allora Monica Belardi aveva lasciato un messaggio. “Una mamma non si stancherà mai di portare un fiore a suo figlio. Anche se vengono puntualmente vandalizzati o rubati. Questo è un comportamento amorale. Chi può essere infastidito dal ricordo di un ragazzino morto a soli 16 anni?”
Eppure è accaduto di nuovo. Più volte. Fino all’episodio vergognoso del 22 maggio di due anni fa, quando è stata addirittura divelta la segnaletica stradale. Un gesto folle. Un attacco non solo alla memoria, ma anche alla sicurezza pubblica. Un atto che ha il sapore della provocazione. Della vendetta. Per cosa?
“Comincio a pensare che siano gesti contro la mia persona”, aveva detto allora Monica, “per la battaglia che ho portato avanti per la messa in sicurezza del ponticello. Nella zona ci sono diverse aziende, e sicuramente ho danneggiato qualcuno”. Perché oltre a essere una madre che non si arrende al dolore, è stata anche una cittadina che ha lottato. Che ha preteso risposte. Che si è scontrata con la burocrazia, con l’indifferenza, con la politica.
Ha chiesto che quel tratto di strada – pericoloso, mal segnalato, dimenticato – venisse reso sicuro. Ha preteso che fosse vietato il transito ai mezzi pesanti. Lo ha fatto in consiglio comunale. Ha affrontato assessori, ha raccolto testimonianze, ha coinvolto il Ministero. E alla fine ce l’ha fatta. Ma quella vittoria ha avuto un prezzo. Da allora, gli atti vandalici si sono moltiplicati. Come se qualcuno volesse punirla. Umiliarla. Ferirla ancora.
E oggi, quel post. Quella foto. Quel fiore. Un gesto semplice. Un gesto potente. Un gesto che racconta tutto.
Perché cancellare un fiore è come voler cancellare il ricordo. Ma non si può. Non si può strappare il dolore di una madre. Non si può zittire chi ama. Non si può soffocare la memoria. Perché l’amore – lo scrive Monica – non si cancella, non si piega, non si sporca di gesti meschini.
Resta solo una domanda, amara come la pioggia sull’asfalto: chi può essere infastidito dal ricordo di un ragazzo di 16 anni?
LA VOCE DEL CANAVESE
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