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Cronaca
26 Luglio 2025 - 23:38
Foto: Notavinfo Notav
Nel pomeriggio dell’ultimo sabato di luglio, la Val di Susa è tornata a essere teatro di scontri violenti e tensioni esplosive. Una marcia No Tav partita con spirito pacifico da Venaus, in occasione del Festival Alta Felicità, si è trasformata in una giornata di guerriglia urbana: container incendiati, autostrada bloccata, pietre e bombe carta contro la polizia. Uno scenario da guerra civile, con la protesta che ha perso il suo volto simbolico e si è spaccata in tre tronconi operativi, ciascuno diretto verso un obiettivo preciso.
In testa al corteo, lo striscione “Ora e sempre No Tav”, seguito dal grido “C’eravamo, ci siamo e ci saremo”. Un corteo colorato, tra bandiere No Tav e vessilli palestinesi issati in segno di solidarietà con Gaza. L’intento dichiarato: manifestare contro “i cantieri della devastazione”, come li definisce il movimento che da anni si oppone alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione.
Ma dietro quel corteo, si muoveva ben altro.
Un primo gruppo, con il volto travisato, si è diretto verso il cantiere dell’autoporto di San Didero. Dopo la consueta battitura sulle reti metalliche, sono state incendiate alcune masserizie e poi bloccata l'autostrada Torino-Bardonecchia, paralizzando la circolazione nel cuore dell’estate, in un fine settimana da bollino rosso per i rientri e le partenze.
Un secondo gruppo ha scelto un’azione più tattica: ha percorso i sentieri nei boschi sopra Giaglione fino a raggiungere Chiomonte, dove ha assaltato il cantiere del tunnel di base. Le forze dell’ordine, presidiate dietro le barriere, sono state colpite da una pioggia di pietre e bombe carta. Un terzo attacco è stato condotto a Traduerivi, area destinata allo smarino, dove i manifestanti hanno incendiato un container. La polizia ha risposto con idranti e manovre di contenimento.
Il bilancio è pesante: strade chiuse per ore, traffico in tilt, paura tra i lavoratori e operatori di cantiere costretti ad abbandonare la zona sotto assedio. Il tratto tra Oulx e Chianocco è stato riaperto solo in serata, dopo ore di blocco e messa in sicurezza.
La politica, questa volta, ha fatto quadrato. Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha parlato di “atti vergognosi”esprimendo “solidarietà e vicinanza alle forze dell’ordine, che meritano rispetto e gratitudine”. Durissimo anche il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi: “Non si è trattato di dissenso, ma di guerriglia urbana. Dietro la facciata di un evento culturale si è consumata un’azione inaccettabile contro lo Stato, le sue infrastrutture e chi le difende. I responsabili saranno individuati e puniti”.
Il vicepremier Matteo Salvini, atteso lunedì a Bardonecchia per l’inaugurazione della seconda canna del traforo del Frejus, ha parlato di “massimo sostegno alle forze dell’ordine”, definendo i manifestanti violenti “malviventi da neutralizzare”.
Non meno netta la reazione del ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo: “Guerriglia, attacco eversivo contro la collettività. È terrorismo urbano, non dissenso. Lo Stato risponderà con fermezza”. E ancora: “Con il decreto sicurezza abbiamo gli strumenti per colpire chi attacca lo Stato. Nessuna giustificazione, nessuna ambiguità”.
A ribadire il ruolo strategico della Tav è il presidente della Regione Piemonte Alberto Cirio, che con l’assessore alla Sicurezza Enrico Bussalino ha condannato con forza l’occupazione dell’autostrada: “Bloccare un’arteria strategica significa mettere a rischio la sicurezza di cittadini e lavoratori. La Tav è un’opera fondamentale per lo sviluppo del Piemonte e dell’Italia intera. Azioni illegali non fermeranno il progresso”.
Sulla stessa linea Roberto Rosso, senatore di Forza Italia: “Dietro la protesta No Tav si nasconde un’attività sistematica di sabotaggio. Mezzi incendiati, cantieri attaccati, agenti colpiti: uno scenario indegno. La legalità viene prima di tutto”.
A sollevare interrogativi sull’efficacia del decreto Sicurezza è Matteo Renzi: “Ma non doveva risolvere il problema? Dal Governo solo chiacchiere. Solidarietà alle forze dell’ordine, come sempre lasciate sole”. Una frecciata, la sua, che trova eco nella senatrice Silvia Fregolent (Italia Viva): “Il Dl Sicurezza è propaganda. Servono strumenti veri per proteggere chi lavora e chi difende lo Stato”.
Anche il sindacato di Polizia Coisp alza la voce. Il segretario generale Domenico Pianese parla di “azioni paramilitari mascherate da ambientalismo” e chiede “condanne esemplari, basta zone franche, basta ambiguità politiche”. Aggiunge: “Chi ha incendiato container, forzato recinzioni e aggredito agenti non è un attivista ma un delinquente. Serve un cambio di passo”.
Dall’altra parte, il movimento No Tav, che oggi come in passato alterna momenti di protesta pacifica ad azioni violente, non arretra. Il grido “ci siamo e ci saremo” risuona come una promessa – o una minaccia. Il contesto in cui si inserisce l’azione è quello del Festival Alta Felicità, evento che unisce musica, cultura e attivismo, ma che per molti è diventato il paravento di un dissenso che troppo spesso sfocia in sabotaggio e violenza.
E mentre la tensione resta altissima – anche per il timore di nuove azioni nella notte – la domanda si ripropone con urgenza: è ancora possibile distinguere tra dissenso legittimo e violenza organizzata? È ancora utile definire questa battaglia come “ambientalista”? O è diventata qualcosa di diverso, di più pericoloso, una frattura insanabile tra una parte dello Stato e una parte della sua popolazione?
Il tempo delle marce potrebbe essere finito. Quello dello scontro, purtroppo, sembra ancora aperto.
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