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Cronaca

Percosse, umiliazioni e psicofarmaci alterati: indagini su cinque anni di abusi sistematici su disabili

La drammatica vicenda della cooperativa "Per Mano" a Cuneo scuote l'intero sistema di assistenza ai disabili

Percosse, umiliazioni e psicofarmaci

Percosse, umiliazioni e psicofarmaci alterati: indagini su cinque anni di abusi sistematici su disabili

Un’intera struttura che avrebbe dovuto accogliere e proteggere i più fragili si è trasformata, secondo l’accusa, in un luogo di umiliazione, violenza e abbandono. A Cuneo, dodici operatori sanitari di un centro diurno per disabili gestito dalla cooperativa sociale “Per Mano” sono stati rinviati a giudizio con l'accusa di maltrattamenti su quindici ospiti, di cui alcuni minorenni, affetti da autismo associato a gravi patologie psichiatriche.

I fatti contestati coprono un arco temporale lungo cinque anni, dal 2014 ad aprile 2019, e sono stati definiti dagli inquirenti come “sistematici” e “non episodici”. Il procedimento coinvolge figure di vertice e operatori di ogni livello: tra gli imputati ci sono la direttrice e la coordinatrice della struttura, una psicologa, un educatore, quattro infermieri e quattro operatori sociosanitari. Tutti compariranno davanti al giudice per rispondere di atti gravi e ripetuti, inflitti a persone incapaci di difendersi.

Le indagini, lunghe e complesse, hanno ricostruito un quadro inquietante, fatto di pressapochismo gestionale, incuria e abusi. Secondo l’accusa, uno degli episodi più gravi riguarda un ragazzo colpito al volto con una scarpa da un infermiere. In un altro caso, una psicologa avrebbe umiliato fisicamente un paziente in più occasioni. Ma le violenze non si sarebbero fermate qui.

Nel fascicolo dell’accusa emergono anche condotte illegittime nella somministrazione dei farmaci, con variazioni arbitrarie delle dosi di psicofarmaci, decise senza consulto medico, e con l’unico obiettivo – secondo gli inquirenti – di sedare comportamenti ritenuti “difficili da gestire”. A ciò si aggiunge l’uso sistematico della cosiddetta “relax room”, un locale teoricamente dedicato alla gestione delle crisi di agitazione psicomotoria, ma che – stando alle accuse – veniva trasformato in una stanza di isolamento punitivo, dove alcuni ospiti sarebbero stati lasciati da soli per ore.

Il materiale raccolto dagli investigatori, tra intercettazioni ambientali, relazioni interne, testimonianze e documenti clinici, ha permesso di accertare un clima in cui le pratiche abusive erano note e tollerate, se non addirittura indotte dai vertici della cooperativa. In un passaggio delle carte, riportato dagli atti, si legge che i dirigenti avrebbero raccomandato agli operatori di “evitare segni visibili sui pazienti”, per non dover “dare spiegazioni ai familiari”.

Un’istruzione che, se confermata in giudizio, assumerebbe il peso di una responsabilità morale e penale devastante, perché prova non solo della consapevolezza del male inflitto, ma anche della volontà di occultarlo.

Il dolore delle famiglie è diventato azione legale: molti parenti degli ospiti si sono costituiti parte civile nel procedimento, decisi a far emergere la verità e a ottenere giustizia per i loro cari. In aula, porteranno la voce di chi per anni ha affidato i propri figli, fratelli e sorelle a quella struttura credendo di offrire loro una vita dignitosa. Invece, secondo l'accusa, hanno trovato un sistema opaco, violento e indifferente.

Il caso scuote non solo Cuneo, ma l’intero sistema di assistenza ai disabili. La vicenda della cooperativa “Per Mano” ripropone con forza la questione del controllo sulle strutture di accoglienza, spesso affidate a enti privati o del terzo settore, e lascia aperti interrogativi pesanti: quanti altri casi restano sommersi? Quante violenze vengono taciute per paura, ignoranza o inerzia istituzionale?

Non basta più invocare “mele marce” o scaricare la colpa su singoli operatori. Se le accuse verranno confermate, sarà necessario parlare di un fallimento strutturale, in cui le vittime sono bambini, adolescenti e adulti con disabilità complesse, spesso non verbali, completamente dipendenti dagli altri. Ed è proprio questa condizione di totale vulnerabilità a rendere i fatti ancora più gravi.

Il processo sarà lungo, e il giudizio spetterà ai tribunali. Ma già oggi, davanti a queste accuse, si impone un’esigenza morale: guardare in faccia la realtà, pretendere verità, pretendere che strutture come questa non siano mai più luoghi di sopraffazione ma spazi di rispetto e tutela, per chi non ha voce.

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