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15 Maggio 2025 - 06:31
Tania, il coraggio contro la malattia e l’abbandono: “Mi ha lasciata da sola due volte. Ora denuncio”
Tania non voleva la luna. Solo qualcuno che non avesse paura. Qualcuno che non vedesse nella sua disabilità una condanna, ma una parte di lei. Qualcuno che restasse. E invece, ancora una volta, sarebbe stata tradita.
La sua giornata inizia con un respiro. Ma anche quel respiro, per Tania Bocchino, di Rivarolo Canavese, non è mai scontato. Affetta sin dalla nascita da atrofia muscolare spinale di tipo II, una malattia degenerativa che la priva progressivamente del controllo sui muscoli, Tania può muovere solo il braccio destro. Solo quello. Ma con quel braccio, tiene in piedi la sua vita. Guida la carrozzina, usa il telefono, scrive articoli, lancia appelli. Vive, contro ogni logica e ogni ingiustizia.
Non può nutrirsi da sola, né idratarsi. Ha bisogno di essere aiutata a ogni gesto: dal cambiare posizione nel letto al passare dal letto alla carrozzina, dal vestirsi al respirare. Di notte, se un ausilio non viene messo correttamente, rischia di soffocare. Perché Tania non riesce nemmeno a tossire. Se le secrezioni non vengono aspirate con l’uso di una cough machine, può morire.
Ogni giorno è un equilibrio tra dolore e speranza. Ogni notte è un patto con la vita. E tutto questo, con uno Stato che, come lei stessa denuncia, “non ritiene le persone gravemente disabili degne di vivere davvero”.
Eppure, nonostante tutto, Tania ama la bellezza. Le piccole cose. Una colazione in centro, una foto fatta bene, il piacere di un trucco sul viso. E soprattutto, la dignità. Quella che ha sempre difeso a testa alta, pur sapendo – come le ha detto un assistente spirituale – che “le persone malate e dignitose vengono spesso colpite dall’invidia e dall’indifferenza”.
La vicenda che oggi la costringe a parlare, però, non è solo un fatto personale. È un grido che riguarda chiunque viva in condizione di dipendenza e vulnerabilità.
Tania Bocchino vive a Rivarolo Canavese
Tania aveva trovato una persona. Una donna che qui chiameremo Lucia, per proteggerne l’identità reale. Si erano conosciute online. Lucia aveva appena perso il lavoro in una RSA. Si era mostrata dolce, rassicurante. Durante il primo incontro, aveva preso la mano di Tania e le aveva sussurrato “Con me sarai al sicuro, non ti abbandonerò mai”. Tania le ha creduto. E le ha voluto bene. Da subito.
Lucia aveva detto di essere un’infermiera. "Poi aveva cambiato versione - spiega Tania -. Il titolo non era riconosciuto in Italia. Non mostrava i documenti. Ma io aveva bisogno di aiuto...". E soprattutto di affetto.
I primi mesi erano stati felici. Uscite, pranzi nei locali eleganti di Torino. Piccoli momenti di normalità in una vita fatta di tubi e cateteri. Poi, l’inverno. E con l’inverno, il buio. Tania non poteva più uscire. Lucia cominciò a mostrare fastidio, freddezza, distacco.
Il 7 marzo, all’improvviso, il primo abbandono. Un messaggio su WhatsApp: “Devo andare. Ti mando le dimissioni”. Nessuna spiegazione, solo silenzio. Solo dolore.
Tania si ritrovò sola. Disperata. Eppure la perdonò. La cercò. Le offrì un nuovo contratto, uno stipendio ancora più alto. “Credevo mi volesse un po’ di bene. Credevo potessimo ritrovare la magia di quei primi mesi” – racconta. Così Lucia tornò. Firmò un contratto blindato: nessuna delle due avrebbe potuto interromperlo senza giusta causa.
Ma bastò una settimana perché tutto si ripetesse. "Lucia sbagliò una manovra, rovesciandomi addosso il sacco del catetere. Urina ovunque. Mi sentivo sporca, umiliata” - spiega Tania -. Scoppiai a piangere. E Lucia reagì con rabbia: "Cercatene un’altra".
Poi di nuovo calma. Scuse. Ma era solo l’inizio. Il 10 maggio, Lucia abbandona Tania per la seconda volta. Una telefonata confusa, un presunto intervento dei carabinieri. Nessuna verifica, nessuna preoccupazione per la paziente lasciata sola. Niente.
Ore dopo, messaggi alterati, contraddittori. Poi le dimissioni. E subito dopo, gli insulti. Gli sms. Le accuse. “Mi augurava la morte. Mi diceva che avrei avuto ciò che meritavo” – spiega Tania.
Il tutto, mentre lei attende una valutazione per entrare nel percorso delle cure palliative. Una parola pesante. Che significa dolore, fine, cronicità.
Ora Tania ha sporto denuncia. Chiede che Lucia sia condannata per abbandono di incapace. “Mi ha lasciata da sola, due volte. Nonostante un contratto. Nonostante il mio stato di salute. Nonostante tutto l’amore e la fiducia che le avevo dato”. Chiede un risarcimento, certo. Ma soprattutto giustizia.
Una giustizia che possa riparare, almeno in parte, l’enorme danno umano subito. “Chi si prende cura di una persona fragile non può giocare con i suoi sentimenti. Non può sparire. Non può augurarti di morire”.
Tania non chiede compassione. Ma oggi ha bisogno che il mondo veda. Che chi può decidere si muova. Che il sistema non lasci più sola chi ha bisogno di tutto per sopravvivere.
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