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Cronaca
28 Giugno 2025 - 10:23
Non si erano limitate a cercare lavoro. Avevano trovato la chiave per aggirare le regole sull’immigrazione, inserendosi a pieno titolo nel sistema italiano dell’assistenza domiciliare. Una rete silenziosa, costruita attorno a documenti d’identità falsi, codici fiscali ottenuti con l’inganno e contratti firmati con nomi che non esistono. È quanto ha scoperto la Squadra Mobile della Questura di Udine, che, al termine di un’indagine estesa su scala nazionale, ha arrestato sette donne georgiane e ne ha denunciate altre ventidue, tutte impiegate nel circuito delle badanti.
Il meccanismo era tanto semplice quanto efficace. Secondo gli investigatori, le donne — di età compresa tra i 24 e i 66 anni — arrivavano in Italia spacciandosi per cittadine comunitarie, utilizzando documenti falsi di paesi come Slovacchia, Polonia e Bulgaria. Carte d’identità apparentemente regolari, valide per l’espatrio, che permettevano loro di ottenere un codice fiscale da cittadine UE. Quel lasciapassare fittizio apriva la strada al lavoro regolare, all’iscrizione anagrafica, ai benefici fiscali e sanitari: in poche ore diventavano invisibili nella legalità.
A far scattare l’indagine è stato il sospetto di un responsabile di una cooperativa di badanti con sede a Udine, che, dopo aver preso visione degli esiti di una precedente operazione — condotta a gennaio — ha consegnato agli inquirenti una lista di decine di nomi. Troppe richieste, troppe anomalie nella documentazione, troppi passaporti “comunitari” tra persone che dichiaravano origini georgiane.
Gli investigatori, coordinati dalla Procura della Repubblica di Udine, hanno avviato un monitoraggio capillare. E hanno scoperto che le donne non si erano fermate al Friuli: si erano spostate in tutta Italia, stabilendosi in regioni diverse e continuando a lavorare, firmare contratti e ricevere assistenza. Le perquisizioni sono state disposte in tredici province, tra cui Padova, Treviso, Trento, Bolzano, Milano, Aosta, Firenze, Prato, Macerata, Roma e Napoli. Al termine delle operazioni, sono stati sequestrati 21 documenti comunitari falsi, numerosi codici fiscali e copie di contratti di lavoro firmati con identità inventate.
Sette delle donne — tre a Bolzano, una a Udine, una a Milano, una a Treviso e una a Macerata — sono state arrestate in flagranza per “possesso e fabbricazione di documenti di identificazione falsi” (articolo 497-bis del Codice Penale). Altre ventuno sono state denunciate a piede libero, ma tutte saranno sottoposte alle verifiche degli uffici immigrazione: in caso di mancanza dei requisiti per la permanenza, scatteranno le espulsioni.
L’indagine, però, non si ferma qui. Gli agenti stanno ora cercando di risalire ai fornitori dei documenti falsi, che avrebbero richiesto compensi tra i 300 e i 600 euro per ciascuna identità taroccata. Una cifra apparentemente modesta, ma che ha permesso alle beneficiarie di infiltrarsi nel mercato del lavoro italiano, eludendo le norme sui flussi migratori e accedendo illegalmente al Servizio Sanitario Nazionale.
Secondo la Polizia di Stato, non si tratterebbe di casi isolati. Le indagini proseguono per verificare l’eventuale coinvolgimento di gruppi organizzati, attivi anche in altri Paesi extracomunitari, con lo stesso schema: ottenere una presenza legittima di facciata, per poi consolidarla attraverso canali lavorativi, residenze fittizie e diritti acquisiti indebitamente.
Il quadro che emerge è quello di una zona grigia della legalità, dove le maglie larghe dei controlli amministrativi diventano terreno fertile per truffe silenziose ma sistematiche. L’assistenza familiare, che si fonda sul rapporto fiduciario tra la badante e l’anziano o la persona non autosufficiente, rischia di trasformarsi in un canale parallelo di ingresso nel Paese, sfruttato da chi conosce le falle del sistema.
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