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Cronaca
28 Giugno 2025 - 10:03
Una mano sul manubrio, l’altra su un pacchetto. Il mezzo è un monopattino, ma la destinazione è ben più pesante di quel che sembra. È bastato un passaggio furtivo davanti a un chiosco di via Bologna, in zona Barriera di Milano a Torino, per accendere il sospetto degli agenti della squadra di Polizia Giudiziaria del Commissariato. Lì, due cittadini marocchini, di 28 e 38 anni, si muovevano con troppa circospezione: uno consegna all’altro il monopattino, l’altro riparte, raggiunge uno stabile poco distante, ritorna con un piccolo involucro tra le mani. Un dettaglio apparentemente innocuo, ma che in quell’angolo di città aveva già un retrogusto amaro.
I poliziotti decidono di intervenire. Li bloccano, li perquisiscono. E trovano tre involucri termosaldati, nascosti con cura. Dentro c’è cocaina, pronta per lo smercio. Ma è solo l’inizio.
Convinti che la droga sequestrata potesse essere parte di una partita ben più ampia, gli operatori allargano il raggio. Pochi metri più in là, l’area dell’ex Manifattura Tabacchi — già sgomberata di recente — si trasforma in un cantiere investigativo a cielo aperto. E lì, sotto un cumulo di fazzoletti di carta, si apre un altro capitolo: un sacchetto pieno di riso, usato per mascherare odori e rendere meno tracciabile il contenuto, nasconde circa 90 grammi di cocaina. Gli involucri sono identici a quelli trovati nel primo sequestro. Ma non è finita.
A pochi passi, in un capannone dismesso, entra in scena Iron, cane antidroga dell’unità cinofila della Polizia di Stato. Naso a terra, pochi secondi, poi l’abbaio secco: sotto una copertura di cartoni e detriti emergono altri 2 chilogrammi di hashish, insieme a un brick di vino rosso che, al posto del sangiovese, contiene 400 grammi della stessa sostanza. Un nascondiglio improvvisato eppure ragionato, che racconta la trasformazione della vecchia Manifattura in una centrale di stoccaggio per lo spaccio urbano.
Complessivamente, gli agenti sequestrano oltre 3,5 chili di droga, tra cocaina e hashish, suddivisi in panetti e dosi già pronte per la vendita. I due uomini vengono arrestati per detenzione di sostanza stupefacente ai fini di spaccio, e condotti in carcere. L’arresto è stato convalidato, ma l’inchiesta è ancora nella fase delle indagini preliminari: per entrambi gli indagati vale la presunzione di innocenza fino a eventuale sentenza definitiva.
Il blitz della Polizia è solo l’ultimo tassello di una mappatura urbana dello spaccio che nelle ultime settimane ha riacceso i riflettori su zone grigie della città, come l’area industriale dismessa di via Bologna. Un’area che da mesi era tornata sotto osservazione per movimenti sospetti, bivacchi, occupazioni temporanee. Una zona dove bastano pochi minuti di osservazione per vedere strategie di occultamento sempre più ingegnose: riso, vino, fazzoletti, monopattini. Pezzi di un sistema fluido e adattivo, capace di mimetizzarsi nella quotidianità urbana con una naturalezza inquietante.
Non un semplice “giro”, ma una rete a bassa intensità che sfrutta i vuoti della città, le periferie dimenticate e gli spazi lasciati all’abbandono. Dove c’erano fabbriche e tabacchi, oggi si infilano pacchetti termosaldati, destinati ai consumatori delle vie centrali. E dove ci si aspetterebbe solo silenzio e degrado, si moltiplicano le operazioni a basso profilo, rapide, ripetibili, redditizie.
Il lavoro delle forze dell’ordine continua, anche oltre il perimetro della Manifattura. Ma quella scena — il pacco che viaggia su monopattino, il riso che copre la droga, il vino che non contiene vino — dice molto di più di una semplice cronaca di arresto. Racconta di un narcotraffico che cambia forma, ma non sostanza, e che si insinua in ogni piega lasciata scoperta dal tessuto urbano. Sta alla città, adesso, decidere se richiudere quegli spazi o lasciarli, ancora una volta, in mano a chi li riempie con l’illegalità.
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