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Cronaca
09 Giugno 2025 - 11:01
Assolte le badanti dell'anziano imprenditore di Torino: “Ho solo aiutato chi ne aveva bisogno”
Una casa elegante nella cintura sud di Torino, un uomo solo, 94 anni, memoria traballante ma ancora voce decisa. Una fortuna costruita in decenni di lavoro imprenditoriale, oggi in parte svanita tra profumi di marca, cene gourmet e regali hi-tech. Eppure, quando si ritrova davanti ai giudici, l’anziano non accusa nessuno. Anzi, difende a spada tratta le quattro badanti che lo hanno assistito per mesi, prosciugandogli – secondo le figlie – il conto corrente. “Non mi hanno derubato, le ho solo aiutate”, dice.
È questo il cuore di una vicenda che mescola affetti, denaro, solitudine e giustizia, approdata ieri alla conclusione in un’aula del Tribunale di Torino. Dopo quattro udienze di processo, la giudice Federica Gallone ha assolto tutte e quattro le imputate dall’accusa di circonvenzione d’incapace. A denunciare erano state le figlie dell’imprenditore, allarmate da movimenti bancari anomali che avevano portato all’apertura di un’indagine coordinata dalla pm Fabiola D’Errico.
La storia ha inizio poco dopo la morte della moglie dell’uomo, quando l’anziano, per continuare a vivere nella propria abitazione, decide di assumere regolarmente tre colf. Due sorelle di 24 e 25 anni, la madre sessantenne e una quarta donna di 31 anni, tutte regolarmente contrattualizzate, tutte presenti quotidianamente in casa. Col tempo – complici fiducia, abitudine e una forma di affetto – quelle donne iniziano ad avere accesso alle carte di credito, e a utilizzarle.
Per la procura, quel rapporto è degenerato. Tra giugno 2022 e febbraio 2023, secondo l’accusa, le quattro avrebbero sfruttato una condizione di fragilità cognitiva dell’anziano – affetto da un disturbo neurocognitivo lieve – per ottenere regali, acquisti, somme in contanti. Il totale? Circa 28 mila euro in spese documentate e oltre 20 mila euro in prelievi.
Badante
Nell’elenco delle transazioni finiscono oggetti che parlano da soli: gioielli, profumi costosi, borse firmate Alviero Martini, abbonamenti in palestra, ma anche un MacBook Air, un Apple Watch Series 7, un iPhone 13 Pro Max, un Samsung Galaxy A33, vestiti e addirittura tatuaggi. Aggiungiamo cene nei locali più rinomati della zona e il quadro si completa. Per le figlie, è la prova di un raggiro sistematico, pianificato e redditizio.
Ma al centro del processo non ci sono solo scontrini, conti correnti o smartphone di ultima generazione. C’è soprattutto la parola dell’uomo, e quella, alla fine, ha pesato più di ogni altro elemento. Durante l’incidente probatorio, con lucidità sorprendente, il 94enne difende le sue badanti. Non parla di manipolazione, né di sotterfugi. Dice di aver voluto fare dei regali, di essersi sentito aiutato, ascoltato, accudito. “Nella vita ho avuto fortuna – dichiara – e ho solo cercato di aiutare chi ne aveva bisogno”.
Un’affermazione che ha convinto anche la giudice, spinta forse dalla linea della difesa, in particolare dall’avvocato Gianluca Visca, legale della 31enne, che ha centrato tutto sull’autodeterminazione dell’uomo. “Non c’è stato raggiro, solo riconoscenza”, ha spiegato, sottolineando come l’imprenditore fosse capace di intendere e volere e che quelle spese rispecchiavano il suo “stile di vita generoso e consolidato”.
Né l’anziano né le figlie si sono costituiti parte civile. Un dettaglio che ha pesato, perché ha lasciato alla sola accusa il compito di provare l’inganno, senza una richiesta formale di risarcimento. E in assenza di un danno penalmente accertabile, la linea difensiva ha avuto gioco più facile.
Resta il sospetto che dietro la generosità ci sia stata, almeno in parte, una pressione emotiva. Ma la legge impone di distinguere tra approfittarsi di un anziano incapace e ricevere doni da una persona lucida ma sola. E la linea tra le due cose è sottile, ma decisiva. In questo caso, la sentenza ha tracciato il confine in favore delle imputate.
Fuori dall’aula, resta la frattura familiare. Le figlie che si sono rivolte alla magistratura pensando di proteggere il padre, e lui che – invece – si schiera con chi lo ha aiutato ogni giorno a vestirsi, mangiare, parlare. Forse un gesto di riconoscenza, forse un modo per sentirsi ancora padrone delle sue decisioni, nonostante gli anni e le fragilità.
Sul piano penale, la vicenda si chiude con una sentenza di assoluzione piena. Ma il dibattito resta aperto: come si tutela davvero una persona anziana senza toglierle autonomia? Quanto è lecito accettare da un assistito regali di lusso? E dove finisce la gratitudine, dove inizia l’abuso?
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