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09 Giugno 2025 - 09:33
La sicurezza sul lavoro resta una promessa tradita che continua a uccidere
Mentre l’Italia si interroga su diritti, tutele e precarietà attraverso quattro referendum sul lavoro, un’altra battaglia si consuma in silenzio: quella contro le morti bianche, che nel 2025 hanno già raggiunto cifre da emergenza nazionale. Nei primi quattro mesi dell’anno, sono 291 le vittime legate all’attività lavorativa, con un aumento dell’8,6% rispetto allo stesso periodo del 2024. Dietro queste statistiche ci sono volti, famiglie, vite strappate alla quotidianità da cadute, schiacciamenti, esplosioni, malori e negligenze. Numeri che smettono di essere numeri ogni volta che un elmetto cade a terra e nessuno lo raccoglie più.
Tra queste vittime, 211 hanno perso la vita sul luogo di lavoro, mentre 80 sono morte durante il tragitto casa-lavoro. E a preoccupare di più è l’impennata delle morti tra le lavoratrici, cresciute addirittura del 50% in un solo anno. L’uguaglianza di genere, se esiste, qui assume la forma più crudele: donne impiegate nei settori più fragili, nei ruoli meno protetti, spesso invisibili.
Geograficamente, la mappa della morte mostra che la Lombardia guida la classifica con 34 vittime, ma se si guarda al numero di decessi in rapporto agli occupati, il primato spetta alla Basilicata. Subito dopo arriva il Piemonte, con 17 morti, di cui 10 solo a Torino. Un dato che rappresenta un incremento del 66,6% rispetto all’anno precedente e che pone il capoluogo piemontese sullo stesso livello di Milano, seguita da Bergamo, Napoli e Roma. La Torino operaia, la città dei cantieri e dei capannoni, si conferma drammaticamente esposta al rischio.
Morti bianche
Le vittime non sono solo giovani inesperti o stagionali senza formazione. Anzi. I più colpiti sono gli ultrasessantacinquenni e i lavoratori tra i 55 e i 64 anni, segno che l’esperienza non basta a proteggere da ambienti ostili e procedure approssimative. I giovani tra i 15 e i 24 anni non sono però risparmiati, così come gli stranieri, che risultano avere quasi il doppio del rischio rispetto agli italiani, con 39 decessi segnalati. In un contesto che spesso confonde il lavoro con lo sfruttamento, chi ha meno voce in capitolo rischia di più.
I settori dove si muore maggiormente sono sempre gli stessi: edilizia, trasporti, magazzini, attività manifatturiere. Ambiti dove la corsa al risparmio taglia sulla formazione, sulla prevenzione e sulla sicurezza. Proprio in questo senso, l’approvazione a maggio di un nuovo accordo sulla formazione obbligatoria anche per i datori di lavoro potrebbe rappresentare un piccolo segnale di svolta. Finalmente anche chi dirige e gestisce viene chiamato a studiare la normativa e applicarla, senza alibi.
Ma non basta. Serve un’azione condivisa, uno scatto collettivo. Le istituzioni devono potenziare i controlli, le aziende devono investire in sicurezza, i lavoratori devono essere informati e protetti. La cultura della prevenzione non si costruisce con un volantino, ma con una volontà politica chiara e risorse dedicate. E con la certezza che chi viola le regole paga.
Oggi, in Italia, andare a lavorare può ancora significare non tornare a casa. È questo il vero scandalo. Finché continueremo a parlarne solo dopo la tragedia, le statistiche continueranno a salire. E ogni croce in più sarà la dimostrazione che non abbiamo fatto abbastanza.
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