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Cronaca
22 Maggio 2025 - 12:17
Napoli, relazione tossica tra due donne finisce in tragedia: Daniela e Ilaria tra passione e violenza
Si sono amate, e si sono distrutte. Una storia finita nel sangue, con due corpi dentro un’auto parcheggiata a margine della periferia est di Napoli: Daniela Strazzullo, 31 anni, colpita alla testa e ora sospesa tra la vita e la morte in un letto d’ospedale, e Ilaria Capezzuto, 34 anni, morta sul colpo dopo essersi sparata con la stessa pistola calibro 9 con cui aveva ferito la compagna. È un dramma che mescola amore e morte, che scoperchia la solitudine emotiva dei legami tossici e interroga una città che conosce la violenza ma non si abitua mai davvero a vederla esplodere nell’intimità più fragile, quella degli affetti.
I fatti, secondo le prime ricostruzioni, non lasciano molto spazio al dubbio: Daniela era alla guida dell’auto quando Ilaria, seduta accanto, ha premuto il grilletto. Un colpo secco alla testa. Poi è scesa dal veicolo, ha puntato l’arma contro sé stessa, e ha fatto fuoco ancora. Fine. L’arma è stata sequestrata, le forze dell’ordine stanno scavando nel passato di entrambe: donne note alle autorità, e non solo per motivi di ordine pubblico. Si parla di legami di Daniela con ambienti vicini alla criminalità organizzata, ma la pista sentimentale resta quella privilegiata, almeno per ora. Perché qui, dietro il silenzio postumo di una scena muta e spettrale, ci sono parole mai dette, segnali forse ignorati, scelte irreparabili.
L’amore non basta a spiegare. Una relazione, apparentemente intensa ma tormentata, come spesso accade in contesti dove le emozioni diventano detonatori. Ilaria e Daniela si conoscevano bene, troppo bene. La gelosia? Una rottura recente? Oppure un’escalation di malessere e dipendenza affettiva che nessuno ha voluto vedere? È qui che la tragedia diventa specchio. Specchio di una società che fatica ancora a leggere la violenza nelle coppie non eterosessuali, che sottovaluta la gravità di certi meccanismi distruttivi solo perché si consumano lontano dai riflettori. E intanto si continua a morire.
Le reazioni nel quartiere sono di sgomento e paura. Nessuno si aspettava un epilogo simile, anche se qualcuno – col senno di poi – sussurra che “tra loro c’era tensione”, che “si sentivano spesso litigi”. Ma le urla in casa non fanno notizia, finché non diventano spari in strada. E a quel punto è troppo tardi. Gli esperti parlano di relazioni simbiotiche, del rischio sempre più diffuso che la fine di un amore diventi esplosione. Il cuore diventa prigione, la delusione si trasforma in minaccia. E la disponibilità di armi, anche in contesti non criminali, fa il resto.
Perché una donna ha accesso a una calibro 9? Chi gliel’ha procurata? Dove l’ha tenuta? E chi sapeva? Sono domande che i carabinieri stanno affrontando, consapevoli che la risposta a queste domande non cambierà la sostanza, ma potrebbe impedire che accada ancora. Perché a Napoli, come altrove, la violenza non ha genere, ma ha radici: culturali, sociali, relazionali. E la prevenzione parte dal riconoscere che la tragedia si costruisce giorno per giorno, invisibile, finché non scoppia.
Daniela, intanto, è in rianimazione. Le sue condizioni restano critiche. I medici parlano di un trauma cranico devastante, la prognosi è riservata. Ma se sopravvive, dovrà affrontare un’altra battaglia: quella con la memoria, il dolore, le responsabilità emotive e giudiziarie che una sopravvissuta porta con sé. Perché le storie che finiscono così non si chiudono con la morte. Lasciano scie. Famiglie, amici, quartieri, e una città intera che si guarda allo specchio.
La tragedia di Daniela e Ilaria ci ricorda che nessun amore giustifica il possesso, nessuna relazione può contenere odio e controllo senza diventare malattia. È il momento di chiamare le cose con il loro nome, anche quando fanno male. Serve educazione sentimentale, serve ascolto, serve rete. Serve – soprattutto – la capacità di dire basta prima del colpo.
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