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Cronaca
09 Maggio 2025 - 10:09
Non sarebbe stato il fuoco a uccidere Piero Gaviati, 78 anni, trovato senza vita nella notte tra il 25 e il 26 aprile all’interno di una stanza del complesso La Torre – Anffas di corso Indipendenza 126, a Rivarolo Canavese. Secondo le prime indiscrezioni emerse dalle indagini, sostenute da riscontri medico-legali, nei polmoni dell’uomo non sarebbe stata rilevata alcuna traccia di fumo. Un dettaglio tutt’altro che secondario, che fa ipotizzare che Gaviati sia morto prima che l’incendio si sviluppasse, forse stroncato da un malore improvviso.
Un’ipotesi che, se confermata dagli esiti dell’autopsia, cambierebbe radicalmente il quadro investigativo della Procura di Ivrea, dove il pubblico ministero Ludovico Bosso ha aperto un fascicolo inizialmente ipotizzando il reato di omicidio colposo. Ma se il decesso non fosse collegato direttamente alle fiamme, e l'incendio fosse avvenuto solo in un secondo momento – magari innescato da una sigaretta sfuggita al controllo dopo il sopraggiungere della morte – l’ipotesi accusatoria potrebbe ridursi a incendio colposo.
Secondo la prima ricostruzione dei fatti, l’incendio è rimasto circoscritto al letto dell’uomo. Non ha interessato l’intera stanza, né ha provocato il panico o l’evacuazione della struttura. Ma ciò che sorprende è proprio il comportamento (o meglio, l’assenza di reazione) di Gaviati. L’uomo è stato trovato ancora sdraiato nel letto, con le gambe parzialmente penzoloni, come se non si fosse nemmeno accorto del pericolo. Era autosufficiente, capace di muoversi autonomamente. In condizioni normali, anche con mobilità ridotta, avrebbe avuto il tempo di alzarsi o almeno di chiamare aiuto. E invece nulla: silenzio, immobilità, morte.
Un operatore socio-sanitario, accortosi del fumo e delle fiamme, ha tentato l’impossibile: si è precipitato nella stanza con un estintore e ha cercato di spegnere il rogo. Nel farlo ha inalato fumo, restando lievemente intossicato e venendo trasportato in ospedale per accertamenti. È stato dimesso già nel pomeriggio. Il suo gesto, coraggioso quanto inutile, non ha potuto salvare Gaviati, che giaceva già privo di vita, carbonizzato, tra le lenzuola annerite.
Un elemento spesso trascurato ma fondamentale è che Piero Gaviati non era un ospite della comunità Anffas, che normalmente si occupa di persone con disabilità. L’uomo era stato inserito in un’area separata della struttura, destinata all’emergenza abitativa e sociale, un’iniziativa in convenzione con il Consorzio Ciss 38. Lì era arrivato poche ore prima della tragedia, appena dimesso dall’ospedale, dopo un periodo di degenza. I medici lo avevano ritenuto in condizioni sufficienti per affrontare un rientro, seppur in una sistemazione provvisoria. Nonostante la sua età e qualche difficoltà motoria, era considerato parzialmente autonomo.
Nato e cresciuto a Ozegna, Gaviati aveva vissuto per decenni nella piccola comunità canavesana, insieme alla moglie e alla suocera. Dopo la scomparsa della moglie, la sua vita era cambiata. Da quel momento, una lenta discesa nella fragilità sociale e sanitaria lo aveva portato a essere inserito nei circuiti dell’emergenza abitativa. Una storia comune a molti anziani, invisibili, che finiscono nelle crepe del sistema, tra un ricovero e una sistemazione di fortuna.
Ora, le domande si concentrano sulla struttura stessa: i dispositivi antincendio erano a norma? I materassi erano davvero ignifughi, come previsto per legge? E soprattutto: quali controlli vengono effettuati negli alloggi destinati a persone in stato di bisogno, spesso lasciate sole proprio nei momenti più critici?
Gli investigatori stanno verificando punto per punto tutte le misure di sicurezza e gli standard richiesti per ambienti che accolgono soggetti fragili. L’incendio ha sollevato una questione più ampia, che va oltre la morte di Gaviati: quella di una gestione sistemica che, troppo spesso, confonde assistenza con abbandono.
La notizia ha sconvolto non solo Rivarolo, ma anche Ozegna, dove molti cittadini ricordano con affetto il volto di Piero, i suoi anni trascorsi tra piazze, bar e racconti del passato. Alla sua morte non è seguito solo dolore, ma anche la richiesta di verità. Una verità che potrebbe essere meno banale di un mozzicone di sigaretta.
Ora sarà l’autopsia a parlare, ma forse, già ora, la tragedia ha detto tutto: in certe stanze, il fuoco non brucia solo corpi, ma anche coscienze.
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