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Cronaca
21 Marzo 2025 - 21:18
Amianto
È arrivata la condanna anche per l’ultimo superstite del lungo e doloroso processo legato alle morti per amianto nelle Officine Grandi Riparazioni di Torino. Il Tribunale del capoluogo piemontese ha inflitto un anno e sei mesi di reclusione per omicidio colposo al medico Vincenzo Santoro, oggi 85enne, colpevole – secondo i giudici – della morte di 8 operai su 16 coinvolti nel procedimento, deceduti dopo essersi ammalati negli anni Settanta a causa dell’esposizione all’amianto sul luogo di lavoro.
Santoro, all’epoca dei fatti libero professionista, aveva svolto il ruolo di consulente esterno per conto delle Ferrovie dello Stato tra il 1970 e il 1979. Non era un dipendente diretto, ma fu comunque chiamato a sovrintendere la sorveglianza sanitaria dei dipendenti. Secondo l'accusa, non avrebbe mai sottoposto i lavoratori a visite mediche per accertarne l’idoneità fisica né a controlli periodici, violando così quanto previsto dalle normative allora in vigore in materia di tutela della salute nei luoghi di lavoro.
La lunga inchiesta era stata avviata oltre dieci anni dopo dal procuratore aggiunto Raffaele Guariniello, noto per le sue indagini pionieristiche in ambito di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Nel corso del tempo, tutti gli altri indagati sono deceduti, rendendo questo medico l’unico imputato rimasto in piedi davanti alla giustizia.
Il processo ha visto la pubblica accusa, rappresentata dalla PM Elisa Buffa, chiedere una condanna a 3 anni e 2 mesi, ma i giudici hanno deciso per una pena più bassa, riconoscendo comunque la responsabilità penale per 8 dei 16 decessi.
Per le altre vittime, il quadro processuale si è dissolto tra assoluzioni, prescrizioni e insussistenza del fatto: il medico è stato assolto per non aver commesso il fatto in 6 casi, mentre per uno è intervenuta la prescrizione e per un altro ancora è stata dichiarata l’insussistenza del fatto.
A pesare nella sentenza di condanna, le gravi lacune nell’esercizio delle funzioni di vigilanza che il professionista avrebbe dovuto svolgere. In qualità di consulente esterno, infatti, aveva – secondo l’accusa – l’obbligo di segnalare alle Ferrovie eventuali omissioni o inadempimenti rispetto alle misure preventive previste dalla legge, cosa che non sarebbe mai avvenuta.
Oltre alla condanna penale, il medico dovrà risarcire l’Inail, costituitasi parte civile, con una somma pari a 691mila euro, a titolo di ristoro per le prestazioni erogate ai familiari delle vittime e per il danno subito dallo Stato a causa della negligenza medica.
Difeso dagli avvocati Alberto Mittone e Fabiana Francini, l’85enne – secondo quanto trapelato – potrebbe ricorrere in appello, anche se la sua difesa ha sempre sostenuto che il suo ruolo fosse marginale e privo di poteri decisionali effettivi.
Ma il processo, pur con una sola condanna, lascia aperte ferite profonde. Quelle di un’intera generazione di lavoratori che, per anni, hanno respirato fibre d’amianto senza che nessuno – né datori di lavoro né consulenti – si prendesse la briga di fermare quell’ecatombe silenziosa. Un dramma operaio che oggi trova un timido risarcimento, almeno sul piano della giustizia.
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