Cerca

Cronaca

Torino, spedizione punitiva finita nel sangue: Donaldi Frasheri massacrato a colpi di pistola e manganello

Doveva essere il giorno della sentenza, ma la Corte d’Appello ordina nuovi interrogatori. La Cassazione aveva annullato le condanne: troppi dubbi sulla colpevolezza degli imputati. Spunta l’ipotesi di rissa

Polizia si Stato

Continuano le indagini della Polizia di Stato

Nuovo colpo di scena al Palazzo di Giustizia di Torino nel processo per l’omicidio di Donaldi Frasheri, il cittadino albanese ucciso con un colpo di pistola il 22 ottobre 2017 nei pressi di un bar del capoluogo piemontese. La giornata odierna avrebbe dovuto segnare la conclusione dell'appello bis con la lettura della sentenza a carico dei tre imputati. Tuttavia, in un'inattesa svolta giudiziaria, la Corte d'Assise d'Appello ha ordinato l'interrogatorio di cinque testimoni, rinviando così la decisione definitiva.

polizia di stato

Una scelta che arriva dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione, che nei mesi scorsi aveva annullato con rinviole condanne inflitte nei precedenti gradi di giudizio: pene pesantissime, pari a 23 anni di carcere per ciascun imputato. La Cassazione aveva infatti sollevato dubbi sulla solidità degli indizi a carico degli accusati, sottolineando che la mera presenza sul luogo del delitto non basta per configurare un'ipotesi di omicidio volontario.

Secondo quanto ricostruito dalle indagini, Frasheri sarebbe stato vittima di una vera e propria spedizione punitiva, organizzata da un quarto uomo – già giudicato separatamente – con il quale aveva avuto un violento diverbio all'esterno del bar Chic, situato nel quartiere Pozzo Strada. La ritorsione sarebbe stata rapida e brutale: Frasheri venne raggiunto da un colpo di pistola, cadde a terra e fu successivamente colpito con un manganello. Un’aggressione spietata, che si concluse con le sue ultime parole, pronunciate ai soccorritori prima di perdere conoscenza: "Sono stati gli albanesi."

L'annullamento della sentenza da parte della Suprema Corte si fonda su una questione cruciale: la necessità di dimostrare oltre ogni ragionevole dubbio che i tre imputati erano a conoscenza del fatto che l’azione punitiva avrebbe avuto come esito considerato, previsto e voluto la morte della vittima. I giudici di secondo grado dovranno quindi stabilire se gli imputati debbano rispondere di concorso in omicidio volontario oppure di un reato diverso da quello voluto e se possano beneficiare di eventuali attenuanti, con un impatto significativo sulla pena finale.

Ma nel provvedimento della Corte d'Appello è emerso un ulteriore dettaglio che potrebbe cambiare l’orientamento del processo: un accenno alla possibile riqualificazione giuridica del fatto con l’inserimento del reato di rissa. Un’ipotesi che, se accolta, potrebbe ridimensionare l’impianto accusatorio e incidere sulle condanne.

A difendere gli imputati in questa intricata vicenda giudiziaria sono gli avvocati Cosimo Palumbo, Enrico Calabrese, Severino Marcello, Ilenja Mehilli e Dario Vennettiello, i quali hanno presentato i ricorsi che hanno portato alla riapertura del dibattimento. Ora la parola passa alla Corte, che dovrà fare piena luce su una vicenda che, a distanza di oltre sei anni, non ha ancora trovato una verità processuale definitiva.

Commenti scrivi/Scopri i commenti

Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce

Caratteri rimanenti: 400

Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter

Edicola digitale

Logo Federazione Italiana Liberi Editori