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Cronaca

Setta delle bestie: una condanna per violenza sessuale, 25 imputati assolti

La giustizia si scontra con la prescrizione: caso complesso e controverso

Setta delle bestie

Setta delle bestie: una condanna per violenza sessuale, 25 imputati assolti (foto di repertorio)

Una sola condanna a sei anni di reclusione per violenza sessuale di gruppo ha segnato la chiusura del processo in Corte d’Assise a Novara sul caso della cosiddetta "psicosetta delle bestie". Gli adepti erano accusati di attirare giovani donne con stratagemmi psicologici, per poi abusarne, attribuendosi nomi di animali. Il teatro degli orrori era il Novarese, con epicentro in una villetta a Cerano, ma l’organizzazione aveva ramificazioni anche in Lombardia e Liguria.

La condanna riguarda Barbara Magnani, prossima ai 53 anni, assolta però per un altro episodio di violenza, mentre il reato di libidine a lei contestato è stato dichiarato prescritto. Per gli altri imputati il verdetto è stato ancora più leggero: quattordici sono stati assolti da episodi di violenza di gruppo e nove di loro hanno beneficiato della prescrizione, estesa anche agli undici imputati rimanenti. Due dei ventisei accusati erano nel frattempo deceduti durante il lungo iter giudiziario.

Il processo, rigorosamente a porte chiuse, era iniziato nel febbraio 2023 e si è concluso oggi, lasciando aperte molte ferite. I ventisei imputati erano accusati, a vario titolo, di associazione per delinquere finalizzata alla riduzione in schiavitù e alla violenza sessuale. Nei capi d’accusa figuravano una decina di vittime. La pm Silvia Baglivo aveva richiesto pene severe, dai sette ai diciotto anni, con le più alte destinate alle tre presunte organizzatrici della setta, tra cui una ex convivente del presunto leader Gianni Maria Guidi, soprannominato il "dottore" o il "professore" per la sua laurea in farmacia. Guidi, 79 anni, milanese, era deceduto il 15 marzo 2023, e la sua posizione era stata stralciata dopo una perizia medica che aveva certificato l’incapacità di affrontare il processo.

La condanna riguarda una violenza sessuale avvenuta nella primavera del 2012 e denunciata successivamente da una delle vittime, all’epoca minorenne

Le richieste della pm includevano pene di quindici, dodici e dieci anni per i partecipanti agli incontri, mentre per altri erano state proposte condanne tra sette e nove anni. Era stato inoltre richiesto il sequestro preventivo di tutti i beni mobili e immobili della setta, oltre alla prescrizione per due uomini. Tuttavia, la sentenza ha ridimensionato di molto queste richieste.

Sarà importante leggere le motivazioni della sentenza. Penso che presenteremo appello. È importante che ci sia stata comunque una condanna per la violenza sessuale di gruppo. Sono poi stati riconosciuti i reati, anche se prescritti. Hanno escluso l’aggravante della riduzione in schiavitù, ha dichiarato la pm Baglivo dopo la lettura del verdetto.

In aula erano presenti tre delle ragazze che avevano trovato il coraggio di raccontare gli abusi subiti nella villetta nascosta nei boschi del Ticino, dove il "professore" soggiornava a intermittenza. Due di loro sono scoppiate in lacrime al momento della sentenza, a testimonianza di un dolore che non si è mai sopito.

La vicenda era emersa grazie alla denuncia di una donna che aveva deciso di rompere il silenzio dopo anni di abusi. Entrata nella setta all’età di 7 anni, portata da una zia, ne era uscita nel 2010. Con il supporto di un’associazione di Cuneo, aveva trovato il coraggio di denunciare nel 2018. La sua testimonianza aveva dato il via all’operazione Dioniso, condotta dalla polizia di Stato, che nel luglio 2020 aveva portato alla scoperta di questa inquietante psicosetta. Con base operativa a Cerano, l’organizzazione aveva tentacoli anche a Milano, nel Pavese e in Liguria.

La sentenza chiude un capitolo giudiziario ma lascia aperti interrogativi sulla giustizia e sulla protezione delle vittime. La condanna di una sola persona, con la prescrizione per molti degli imputati, rischia di essere percepita come una vittoria parziale. Insomma, un caso che continuerà a far discutere, non solo per l’orrore dei crimini, ma anche per la difficoltà di ottenere piena giustizia.

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