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01 Novembre 2024 - 21:41
Oggi a Torino si è manifestata la dissidenza nei confronti della riapertura del Cpr di Corso Brunelleschi. I Cpr, Centri di permanenza per il Rimpatrio, sono strutture detentive in cui le persone irregolari possono essere rinchiuse in attesa del rimpatrio. Quello di Torino era stato chiuso a marzo 2022 in seguito alle rivolte avvenute all’interno. Il centro avrebbe dovuto riaprire oggi. Tuttavia, non è ancora dato sapere quando riaprirà e da chi sarà gestito.
Abbiamo già trattato in un altro articolo gli aspetti controversi legati a questo tipo di strutture. Qui mi sento di sottolineare che questi luoghi, che per i racconti che ci arrivano dalle diverse inchieste realizzate ricordano chiaramente dei lager, sono posti dove il diritto non esiste.
Stiamo parlando di luoghi separati dal resto della società, dove le persone sono private della loro libertà senza aver commesso nessun reato. Infatti, ricordiamo che la detenzione è amministrativa e le persone sono rinchiuse solamente perché non possiedono un documento valido per il soggiorno. Insomma, hanno la sola colpa di esistere sul territorio italiano.
“È un posto che non auguro a nessuno. Sei peggio di un animale, un animale almeno ha i suoi diritti” racconta un anonimo alla rete No Cpr Torino. I detenuti sono chiusi all’interno di celle, con nessuna possibilità di accedere ad attività di supporto. Molte testimonianze, confermate dalle inchieste realizzate e dalle varie visite effettuate da alcuni esponenti delle istituzioni sensibili a questo tema, riportano una qualità della vita indecente. Il cibo è spesso avariato. L’assistenza psicologica è pressoché inesistente, le persone che presentano patologie non sono seguite in maniera adeguata e l’utilizzo di psicofarmaci, somministrati in maniera eccessiva, è all’ordine del giorno.
Sono luoghi dove gli atti di autolesionismo e i suicidi sono in costante aumento. Il nome Moussa Balde risuona nelle orecchie di qualcuno? Moussa Balde aveva 23 anni quando, a maggio del 2021, si è suicidato dopo essere stato abbandonato per 10 giorni all’interno della sezione Ospedaletto del Cpr di Torino.
Stiamo parlando di luoghi in cui la dignità umana viene violata sistematicamente.
Ma perché ci interessa sollevare nuovamente la questione sul Cpr di Torino in questo giornale? Perché esiste una realtà del “sociale” che opera sul territorio delle Valli di Lanzo che ha qualcosa a che fare con questo luogo. In realtà si spinge addirittura oltre. Stiamo parlando della Cooperativa sociale Sanitalia Service.
Forse qualcuno ricorderà questo nome. Alla fine della scorsa estate, 50 persone richiedenti asilo accolte presso il centro di accoglienza straordinario di Monastero di Lanzo, paese che conta poco più di 100 abitanti, avevano protestato per portare alla luce le condizioni di isolamento nelle quali vivevano. Queste persone erano state collocate dalla Prefettura di Torino all’interno di un condominio e il servizio di gestione era stato affidato proprio a Sanitalia.
Questa cooperativa, che fino al 2016 si occupava solo di servizi legati alla psichiatria e agli anziani, negli ultimi anni ha iniziato a gestire anche servizi di accoglienza per richiedenti asilo, aumentando a dismisura il suo volume d’affari.
Bene, questo ente sembra non avere limiti in termini di ambizione, e forse anche di etica. Infatti, in un’inchiesta condotta da Luca Rondi e pubblicata da Altreconomia, si legge che la Cooperativa Sociale Sanitalia “a metà settembre era in gara per la gestione del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Torino e Milano (poi aggiudicato alla cooperativa Ekene) ma soprattutto, qualche mese prima, era pronta a fare il grande salto. Risulta infatti tra le trenta che hanno partecipato alla gara da oltre 133 milioni di euro per la gestione dei centri per migranti in Albania voluti dal Governo Meloni”.
Una realtà sconvolgente, che non riguarda solo la cooperativa torinese, ma coinvolge molte aziende del sociale. Da una parte si gioca il gioco dell’accoglienza, mentre dall’altro ci si apre alla possibilità di gestire dei servizi di detenzione per le stesse persone che si vorrebbe accogliere. Paradossale no? Qual è il senso di tutto ciò? Evidentemente si tratta di una questione di denaro.
È una conclusione a cui giunge il rapporto “L’affar€ CPR: il profitto sulla pelle delle persone migranti” realizzato da CILD (Coalizione Italiana Libertà e Diritti civili) e pubblicato a giugno dello scorso anno. Il rapporto ripercorre la storia dei CPR. Inizialmente gestiti dalla Croce Rossa, hanno visto un progressivo deterioramento delle condizioni di detenzione. A partire dal 2008, lo Stato ha privatizzato la gestione di questi centri, affidandola a cooperative e poi anche a grandi multinazionali, con l'obiettivo di ridurre i costi.
“Multinazionali che si aggiudicano gare d’appalto proponendo ribassi aggressivi, a totale discapito dei diritti umani delle persone trattenute” denuncia Francesca Reppucci di Melting Pot.
Il CPR di Torino è stato aperto nel maggio 1999 e fino al 2014 è stato gestito dalla Croce Rossa. Nel 2015 la gestione è passata nelle mani di una Associazione Temporanea di Imprese (ATI). Dal 2015 al 2021 entra in gioco Gepsa, una multinazionale di origine francese che opera in diversi settori. Infine, dal 2021 alla chiusura la struttura è stata gestita da ORS, multinazionale svizzera leader in Europa nei settori dell’accoglienza e della detenzione amministrativa.
Questa dinamica, che oggi è stata contestata nelle strade di Torino, ci permette di fare luce sulla realtà che spesso si nasconde dietro i termini “accoglienza” e “lavoro sociale”. Una realtà amara, ma che deve essere conosciuta.
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