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25 Ottobre 2024 - 10:52
Un disastro umanitario e finanziario senza fine. Dal 2014 al 2023, oltre 50mila persone straniere sono state detenute in centri di permanenza per il rimpatrio (CPR) in Italia, strutture che violano i diritti umani e affondano le finanze pubbliche. Un sistema che mescola sempre più confusamente accoglienza e detenzione, e che si espande anche fuori dai confini italiani con nuovi centri di trattenimento in Albania, voluti dal Governo Meloni. È questa la conclusione del report "Trattenuti", aggiornato per il 2024 da ActionAid e dal Dipartimento di Scienze Politiche dell'Università di Bari, che getta una luce impietosa su un sistema disumano, inefficace e ingovernabile.
Il CPR di Torino, un caso emblematico. Tra il 2018 e il 2023, il centro piemontese ha registrato in media 88 presenze giornaliere e 783 ingressi annuali. Numeri che fanno riflettere su come questo centro, considerato un “CPR metropolitano”, operi come una vera e propria propaggine del carcere, accogliendo detenuti che vi rimangono per periodi più lunghi rispetto alla media nazionale. Se il tempo di permanenza in un CPR italiano è di 36 giorni, quello di Torino si attesta su 46 giorni e addirittura 47 giorni nel 2022.
Cosa significa tutto questo? Significa che nel CPR di Torino le persone rimangono intrappolate più a lungo. Questo avviene soprattutto per chi è trasferito dalle carceri: il 24% degli ingressi proviene direttamente dalle prigioni, un dato nove punti percentuali superiore alla media nazionale. Sono persone che, nonostante abbiano scontato la loro pena, rimangono in un limbo, trattenute per un tempo inutile e afflittivo.
Ma i rimpatri? Pochi, pochissimi. Solo il 37% delle persone trattenute a Torino è stato rimpatriato nel periodo 2018-2023, con un calo al 32% nel 2022, ben 10 punti percentuali sotto la media nazionale. Una percentuale bassissima, se si considera lo scopo dichiarato di questi centri: espellere chi non ha diritto di restare. Ancora più preoccupante è la percentuale di uscite per decorrenza termini, cioè quando il periodo massimo di trattenimento è scaduto senza che si sia riusciti a organizzare il rimpatrio: 21% degli ingressi, un dato che raggiunge il 22% nel 2022.
Un buco nero per i fondi pubblici. Se il sistema dei CPR fallisce dal punto di vista umanitario, non va meglio sul fronte finanziario. Il CPR di Torino ne è un esempio lampante. Nonostante nel 2023 il centro sia stato temporaneamente chiuso a causa dei danni causati dalle rivolte interne, la spesa pubblica non si è arrestata: il CPR torinese è diventato il più costoso d’Italia, con un esborso di oltre 3 milioni e 400mila euro. Quindici milioni di euro complessivamente spesi dal 2018 al 2023, di cui il 32% per manutenzioni straordinarie – una cifra che sale al 42% negli ultimi due anni. Ma per cosa? Per mantenere una struttura continuamente danneggiata dalle rivolte, per affitti pagati alle Ferrovie dello Stato e per ripianare debiti con l'ente gestore.
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Il costo medio di un singolo posto nel 2022 è stato di oltre 16mila euro, una cifra scandalosa se si pensa che gran parte di questi posti sono vuoti o occupati per periodi ingiustificatamente lunghi, senza alcuna prospettiva di rimpatrio. Fabrizio Coresi, esperto di migrazione per ActionAid, lo dice chiaramente: “Le elevate spese di manutenzione straordinaria sono un chiaro indicatore, assieme alla continua oscillazione dei posti effettivamente disponibili, dell’invivibilità della struttura, sottoposta a continui danneggiamenti e sistematiche ristrutturazioni straordinarie.”
Il futuro è già scritto? Nonostante la chiusura temporanea e la chiara opposizione della società civile e del consiglio comunale di Torino, nel luglio 2024 è stata indetta una nuova gara per la gestione del centro. Saranno disponibili solo 70 posti, ma la storia sembra destinata a ripetersi: altri milioni di euro sprecati, altre vite sospese in un sistema che non funziona. Perché insistere su una struttura che ha fallito in ogni suo aspetto?
Una lezione che non vogliamo imparare? Come evidenziato dal report, i dati sono chiari: il sistema dei CPR in Italia è un fallimento su tutta la linea, eppure si continua a investire denaro pubblico in un modello che non ha mai funzionato. Giuseppe Campesi, dell’Università di Bari, lo ribadisce: “L’ulteriore periodo di trattenimento è doppiamente afflittivo, poiché in gran parte ingiustificato alla luce della scarsa probabilità di eseguire un rimpatrio.” Le persone, quindi, restano prigioniere di una burocrazia inefficace e di un sistema ingiusto.
E adesso, che fare? Il report di ActionAid e dell'Università di Bari ci offre gli strumenti per capire, per discutere, per cambiare. I dati sono accessibili a tutti, sulla piattaforma Trattenuti, con la possibilità di analizzare ogni singolo centro, compreso quello di Torino. La domanda è: siamo pronti ad affrontare la realtà e a chiudere finalmente questi luoghi di sofferenza e spreco?
Il centro di detenzione per migranti in via di rimpatrio di Torino è stato inaugurato nel 1999 come uno dei primi centri appositamente progettati per trattenere gli stranieri in attesa identificazione e allontanamento dall’Italia. La capienza ufficiale è fissata a 210 posti, ma a causa delle continue rivolte la capienza effettiva è oscillata numerose volte. A fine 2022 i posti disponibili erano 140, anche se a inizio 2023 il centro è stato chiuso per ristrutturazione.
Il Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Torino si trova nella zona ovest di Torino, nell’area occupata dalla Caserma Cavour nei pressi di Corso Brunelleschi. Chiuso una prima volta per ristrutturazione nel 2008, ha ospitato fino al 2014 sia donne che uomini. Una peculiarità del Cpr di Torino è la presenza del c.d. “ospedaletto”, vale a dire dodici celle completamente prive di arredi, ad esclusione di un una sedia e un tavolino fissati al pavimento, in cui venivano trattenuti ufficialmente in isolamento sanitario i detenuti più problematici. Quest’area del Cpr di Torino, chiusa infine nel 2021, è stata teatro di eventi drammatici, come la morte di Musa Balde avvenuta il 22 maggio 2021.
Il centro è stato gestito dalla Croce Rossa Italiana fino a gennaio 2015. Successivamente, la gestione è stata rilevata da un consorzio guidato dalla società francese Gepsa. Da febbraio 2022 il centro è gestito dalla Ors Italia Srl. A marzo 2023 il centro è stato temporaneamente chiuso per consentire il ripristino dell’intero complesso che aveva praticamente perso quasi del tutto la sua capacità ricettiva a causa delle rivolte dei mesi precedenti. La nuova gara per la gestione del Cpr è stata indetta nel 2024.
Nel periodo 2018-2023, il Cpr di Torino ha registrato una media di 88 presenze giornaliere e di 783 ingressi annuali. Il tempo di permanenza medio è stato di 46 giorni, significativamente più alto rispetto alla media nazionale di 36 giorni. La percentuale annua media di ingressi dal carcere (24%) è più alta di nove punti percentuali rispetto alla media nazionale, mentre quella di richiedenti asilo (15%) più bassa di sette punti. La percentuale di rimpatri eseguiti dal Cpr di Torino è del 37%, più bassa di dieci punti percentuali rispetto alla media nazionale del periodo. Molto più alta della media nazionale la percentuale di uscite decorrenza termini, che nel Cpr di Torino raggiunge il 21% degli ingressi.
Nel periodo 2018-2023, il Cpr di Torino ha avuto un procapite prodie medio di euro 34,30, poco al di sopra del dato nazionale. Nello stesso periodo il costo complessivo della struttura è stato di oltre quindici milioni di euro, di cui il 32% spesi per costi di manutenzione straordinaria. Nonostante sia stato sostanzialmente chiuso per l’intero anno, nel solo 2023 il Cpr di Torino è costato oltre tre milioni di euro. Il costo medio di un singolo posto nel 2022 è stato pari a poco più di 16 mila euro.
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