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Cronaca
01 Novembre 2024 - 17:56
Torino, 1° novembre 2024 - Una piazza in fermento, un coro di voci, striscioni che gridano resistenza: oggi, nel quartiere Borgo San Paolo, piazza Robilant si è trasformata nel fulcro della protesta contro la possibile riapertura del Centro di Permanenza per i Rimpatri (CPR) di corso Brunelleschi. Centinaia di persone, giunte non solo da Torino ma anche da altre parti d'Italia, hanno invaso le strade per unirsi alla manifestazione organizzata dal Centro Sociale Occupato e Autogestito Gabrio, noto per la sua ferma opposizione a quello che ritiene un sistema di espulsione ingiusto e disumano.
Il CPR di corso Brunelleschi non è un semplice centro di accoglienza temporanea; è un simbolo, un tassello di quella che gli attivisti definiscono “macchina delle espulsioni”. “Un anno e mezzo fa, il CPR di corso Brunelleschi veniva distrutto dalla rabbia dei reclusi”, ricordano gli organizzatori, rimarcando come la struttura fosse stata chiusa nella primavera del 2023 proprio a seguito delle violente proteste dei migranti al suo interno. La rabbia, la frustrazione e le condizioni critiche all’interno del centro avevano infatti alimentato uno scontro che, alla fine, ha costretto le autorità a chiuderlo.
Oggi, sotto il sole novembrino, i manifestanti portano avanti quel grido di dissenso: in testa al corteo, uno striscione recita “I CPR bruciano ancora, contro il razzismo di Stato e i suoi complici”. Parole che non si limitano a criticare la struttura fisica del CPR, ma che puntano il dito contro un intero sistema politico percepito come oppressivo e razzista. Il razzismo di Stato, denunciano i manifestanti, è alimentato proprio da strutture come i CPR, definite da molti un oltraggio ai diritti umani.
Ma che cos’è esattamente un CPR? Per chi non conosce a fondo la realtà di questi centri, è importante capire il contesto. I CPR, istituiti con lo scopo di trattenere i migranti irregolari in attesa di rimpatrio, sono strutture dove chi non ha i documenti in regola è costretto a rimanere fino alla decisione definitiva. Il tempo di permanenza può durare mesi, in condizioni spesso disumane, come denunciato da numerose associazioni e dalle testimonianze dirette dei reclusi. Celle sovraffollate, assistenza sanitaria carente, e una vita scandita da ore di attesa e incertezza: i CPR rappresentano, secondo molti, una forma di detenzione mascherata, che colpisce persone spesso già provate da viaggi drammatici e da storie di fuga e sofferenza.
Il quartiere San Paolo è stato letteralmente blindato dalle forze dell’ordine, che hanno presidiato la zona per garantire la sicurezza, mentre il corteo si snodava per le strade in una danza di protesta e resistenza. L'atmosfera era carica di tensione; da un lato, la determinazione dei manifestanti a non arretrare di fronte a quella che considerano un’ingiustizia; dall’altro, la presenza di polizia e carabinieri a monitorare la situazione, sottolineando l'importanza di mantenere l'ordine pubblico.
Questa mobilitazione, organizzata dal Centro Sociale Gabrio, è il culmine di un sentimento di indignazione condiviso da molti. Le persone presenti oggi a Torino non protestano soltanto contro la riapertura del CPR, ma contro una visione dell’immigrazione che, agli occhi degli attivisti, tradisce i principi fondamentali dei diritti umani. Molti vedono in strutture come i CPR un sistema che criminalizza la povertà e la migrazione stessa, inasprendo il sentimento di discriminazione e disuguaglianza. “Non siamo tutti complici”, sembra urlare il corteo, “e questo Paese ha bisogno di cambiare rotta”.
Il CPR di corso Brunelleschi, il cui nome è ormai divenuto noto in tutta Italia, resta un simbolo. Chi lo sostiene, vede in esso un baluardo necessario per gestire i flussi migratori irregolari; chi si oppone, invece, lo considera uno strumento di oppressione e segregazione. La sua riapertura porterebbe in primo piano tutte le problematiche che già avevano portato alla sua chiusura nel 2023: condizioni inadeguate, mancanza di tutele e un senso di abbandono che rischia di esplodere, ancora una volta, in tensioni difficilmente gestibili.
Nelle parole degli attivisti e dei partecipanti alla manifestazione, emerge un desiderio chiaro: che il CPR rimanga chiuso e che l’Italia abbracci un modello di gestione dell’immigrazione più umano e rispettoso delle persone. Tuttavia, il futuro di queste strutture rimane incerto, sospeso tra una politica di chiusura e controllo e un approccio più aperto e inclusivo.
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