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Cronache giudiziarie
25 Ottobre 2024 - 15:26
Il giudice Giuseppe Marra
Immaginate di essere esclusi da una procedura per un ruolo di massima importanza, quello di Presidente del Tribunale di Ivrea, non per mancanza di qualifiche, non per errori procedurali, ma perché la vostra autorelazione, una dichiarazione di poche pagine su di voi e il vostro lavoro, ha sforato il limite stabilito dal bando. E di quanto? Di sei righe. Sì, avete capito bene: sei righe in più rispetto alle dieci pagine previste.
Questa è la vicenda quasi tragicomica che ha coinvolto il giudice Giuseppe Marra, 56 anni, la cui candidatura è stata respinta proprio per questo "imperdonabile" eccesso di parole.
Il provvedimento di esclusione è arrivato, infatti, in seguito alla constatazione che l’autorelazione del giudice, parte fondamentale della procedura di selezione, conteneva undici pagine – pardon, dieci pagine e sei righe – invece delle dieci righe consentite. Probabilmente un errore che avrà sconvolto gli equilibri del sistema giudiziario, giusto?
Fortunatamente, il Tar del Lazio è intervenuto a riportare un po’ di ragione in questa vicenda, accogliendo il ricorso presentato dal giudice Marra e annullando la decisione di escluderlo dalla procedura.
Tribunale di Ivrea
Con un tocco di ironia involontaria, i giudici del Tar hanno sottolineato che il ricorrente aveva rispettato ogni altra prescrizione tecnica e procedurale: aveva utilizzato il sistema informatizzato per presentare la domanda, aveva allegato tutta la documentazione corretta e aveva persino seguito alla lettera i modelli previsti dal bando. Ma ahimè, quelle sei righe in più…
I giudici amministrativi, dimostrando che il buon senso non è del tutto scomparso dal sistema giudiziario, hanno dichiarato che questo piccolo "sforamento" non è sufficiente a giustificare un'esclusione.
In altre parole, sei righe non dovrebbero cancellare un’intera carriera di qualifiche, esperienze e competenze. È quasi difficile immaginare che qualcuno, seduto al Csm, abbia davvero pensato che sei righe in più avrebbero potuto compromettere l’intera selezione, ma tant’è.
Il provvedimento del Tar non solo riammette Marra alla competizione per la presidenza del Tribunale di Ivrea, ma impone anche al Consiglio Superiore della Magistratura di valutare nuovamente la sua candidatura. Tutto questo mentre il giudice Antonia Mussa, 47 anni, inizialmente scelta per la carica, si ritrova a dover condividere di nuovo la scena. Una piccola riga di troppo ed ecco che la partita si riapre.
Ma cosa ci dice questa storia?
Da un lato, dimostra come il formalismo esasperato possa talvolta prendere il sopravvento sulla sostanza. Sei righe in più su dieci pagine bastano davvero per escludere un candidato? La giustizia italiana, già notoriamente gravata da ritardi, potrebbe forse guadagnare qualcosa evitando di impantanarsi in questioni così minuziose. Se solo avessimo la stessa precisione nel ridurre i tempi dei processi, magari potremmo vantare un sistema davvero efficiente.
Dall’altro lato, il caso di Marra mette in evidenza il ruolo cruciale del principio di proporzionalità. Escludere un candidato per un piccolo errore formale – sei righe! – non sembra una decisione che si allinei con i valori di equità e giustizia. È una questione di forma, non di sostanza, e il Tar ha fatto bene a ricordarlo.
Ora, con la riammissione di Marra, il Csm dovrà riconsiderare le candidature e riprendere la valutazione da dove l'aveva lasciata. E, se vogliamo guardare il lato positivo, questa vicenda ha almeno offerto una lezione preziosa per il futuro: la prossima volta, tutti i candidati faranno bene a contare attentamente le righe della loro autorelazione. Perché, si sa, nel mondo della burocrazia, sei righe possono fare la differenza tra un incarico prestigioso e una sonora esclusione.
Ah già, giusto, dimenticavamo. Di sottofondo resta il dramma di un tribunale tornato ad essere "senza un presidente".
Per la cronaca oltre a Mussa e a Marra, avevano presentato domanda i magistrati Rossella Atzeni e Marco Ciccarelli ma questi ultimi avevano rinunciato alla nomina.
Mussa, 47 anni era stata individuata dalla quinta commissione del Csm nella seduta di mercoledì 18 settembre. Secondo il Consiglio superiore della magistratura, l’esperienza della magistrata torinese è «ampia e variegata» e il giudizio di idoneità è positivo, sia per l’esperienza nei campi civile e penale, sia per le sue doti nelle organizzazioni di uffici.
Mussa è stata giudice presso il Tribunale di Crotone dal 2011 al 2014; giudice presso la Corte di Appello di Torino dal 2014 al 2019 e dal 2019 è giudice presso il Tribunale di Torino. Si legge nella relazione del Csm che sono state particolarmente apprezzate «la serietà dell’approccio professionale, nonché l’indole aperta ed estremamente collaborativa, caratteristiche che le hanno consentito di instaurare rapporti corretti con tutti gli attori del circuito processuale “…così creando un clima di lavoro sereno e proficuo per tutti...”».
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