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Cronaca
26 Gennaio 2024 - 16:45
Renzo Tarabella in aula
Renzo Tarabella aveva un carattere incisivo e dominante. A casa sua, dove viveva col figlio Wilson e la moglie Maria Grazia Valovatto, il clima era deprimente: in famiglia si passavano "le domeniche sul divano a piangere". Tarabella si sentiva solo, depresso, perseguito da tutti. Talvolta con la moglie condivideva addirittura l'idea di ammazzare il figlio Wilson.
Tarabella parlava bene solo di Osvaldo Dighera, il vicino di casa. Dighera viveva con la moglie Liliana, e ogni tanto si prendeva anche la briga di portare Wilson a fare una passeggiata. Nella notte tra il 10 e l'11 aprile 2021, Tarabella ammazzerà tutti loro a colpi di pistola.
Prima la moglie e il figlio, e poi i coniugi Dighera. Una strage efferata che ha trovato solo recentemente una prima conclusione giudiziaria. I giudici del tribunale di Ivrea hanno fatto uscire le motivazioni della sentenza di condanna di primo grado di Tarabella, pronunciata lo scorso ottobre: 23 anni e 8 mesi. Per lui, il procuratore Lea Lamonaca aveva chiesto persino l'ergastolo.
I coniugi Dighera con la figlia Francesca
Nelle motivazioni si ricostruiscono per filo e per segno gli elementi che erano già emersi durante il dibattimento. Leggendo le diciotto pagine di documento emerge tutta la fisionomia del disegno omocida di Tarabella. Il carattere dell'uomo, il clima depressivo che si respirava in casa, i rapporti tra il killer e i coniugi Dighera. E poi quella pistola che Tarabella deteneva legalmente e che gli ha permesso di compiere il massacro.
Secondo i giudici, però, fu il risentimento nei confronti dei vicini di casa a spingerlo a compiere l'omicidio con l'aggravante della premeditazione. Proprio quei vicini che gli avevano offerto riparo e conforto quando lo necessitava. “Ho dovuto farlo grazie a questa società”, ha lasciato scritto il pensionato nel giorno della strage su un bigliettino ritrovato dai Carabinieri.
Tarabella era ben lucido quando sparò i sette colpi con cui uccise le sue vittime. Su questo i giudici non hanno dubbi, anche grazie alle innumerevoli perizie psichiatriche che sono state svolte sull'uomo prima di mandarlo a processo. Perizie che alla fine hanno confermato che l'uomo, 82 anni, debilitato fisicamente e mentalmente, può comunque stare in giudizio.
Ora il killer sta scontando la sua pena in una struttura di Castellamonte, a qualche chilometro dal luogo della strage, e vicino alla casa in cui vive Francesca Dighera (la figlia dei coniugi che in questi due lunghi anni ha lottato per ottenere giustizia) con la sua bambina e il compagno.
Recentemente è stato ricoverato all’ospedale di Cuorgnè. Stesso paese dove Francesca insegna, esattamente come faceva la mamma.
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