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Cronaca

Julia Ituma: al funerale rose sulla bara e quell'"enigma incomprensibile"

La pallavolista è stata trovata morta nei giorni scorsi, si è pensato a un gesto volontario

I funerali della pallavolista

I funerali della pallavolista

Il silenzio della compostezza e il silenzio della disperazione: punti di partenza diversi, medesimo punto d'arrivo, sul sagrato della parrocchia San Filippo Neri di Milano. Dove in mattinata Julia Ituma ha riempito la chiesa e svuotato di parole i tantissimi che le hanno voluto dare l'ultimo saluto. Pochissime parole, tante lacrime nascoste dalle lenti scure degli occhiali.

C'erano il ministro dello sport Andrea Abodi, le rappresentanti del mondo della pallavolo: l'oratoriana San Filippo Neri, squadra giovanile di Julia, il Billa Volley, giocatrici di Chieri, Bisonte Firenze e Pinerolo, una corona di fiori della Aspria Harbour club. E poi il Club Italia che fu di Julia, con la ex compagna Virginia Adriano, nei giorni scorsi autrice del post con la foto di quell'ultimo abbraccio.

E la Igor Gorgonzola Novara, squadra con cui Julia era a Istanbul per la semifinale di ritorno di Champions League, quando è stata trovata morta dopo una caduta dal sesto piano dell'albergo, all'alba di giovedì 13 aprile. Tanti interrogativi, poche risposte: "Si affollano domande, inquietudini e sensi di colpa, che si accompagnano a ricordi lieti, in questo momento di strazio. Un enigma incomprensibile", scrive l'arcivescovo di Milano, Mario Delpini, in un messaggio letto all'inizio della funzione.

"La vita non ha mantenuto la sua promessa, la morte ha stroncato il desiderio di diventare adulti. Ma sappiamo una cosa: che Gesù vuole che tutti siano salvati", ha aggiunto. Familiari, amici e anche persone che Julia mai l'avevano conosciuta, ascoltano. Quella del quartiere di Bovisasca è una periferia non abituata a telecamere e flash: gente comune, volti della porta accanto. Jeans e maniche arrotolate più che abiti da salotto buono. Tanta compostezza e poca appariscenza, nel momento in cui a essere messa a nudo è la fragilità.

"A volte la vita ci fa toccare con mano la debolezza del sentirsi soli", spiega durante l'omelia don Ivan Bellini, parroco dal 2019. "Non bisogna vergognarsi di avere la paura del buio. Le paure sono nelle tenebre, ma quando sono messe nella luce, scoppia la verità".

Le parole del sacerdote sono quelle pronunciate da papa Francesco il 18 aprile 2022, esattamente un anno prima, e ascoltate dai ragazzi dell'oratorio di Julia, a Roma per l'incontro nazionale del pontefice con gli adolescenti. Gli stessi che un'ora prima e un'ora dopo il funerale, si stringono in un lungo abbraccio ai familiari di Julia: la madre Elisabeth, i fratelli Vanessa e Daniel, i cugini.

Ci impiegano quasi 50 minuti per percorrere i pochi passi tra la prima fila della chiesa e i gradini dove il feretro è stato portato, prima del trasferimento al cimitero maggiore di Milano. Julia esce ricoperta dal bianco delle rose che avvolgono la bara, palloncini gialli e blu si alzano in cielo quando il carro funebre si allontana.

Un applauso, come al suo ingresso in chiesa, poi un "Ciao Giulia!" che grida qualcuno. Sui quattro registri delle presenze posizionati fuori dalla chiesa, compare più volte quella stessa frase. "Coltivate la libertà di esprimervi", dice in un messaggio dall'altare un amico di famiglia e ricercatore del Politecnico, Alexis Elias Malavazanos: "La cultura è ciò che vi permette di farlo: Julia aveva un'intelligenza spiccata, era desiderosa di apprendere, faceva domande spiazzanti e non si sentiva mai soddisfatta. Aveva le caratteristiche della vera ricercatrice, si preparava al test d'ingresso all'università, si interessava al campo della nutrizione".

Comunione e condivisione sono parole che ritornano: "Un proverbio africano dice che per educare un bambino serve un villaggio intero", spiega don Bellini, rivolto anche ai numerosi presenti di origine nigeriana, la stessa di Julia. A cui rivolge il suo grazie. "Tu eri figlia nostra, amica e sorella, cara 'Titu'. Sei stata una buona notizia, un esempio di integrazione. Se vogliamo, possiamo affrontare ogni paura condividendola: rivendichiamo il diritto di essere fragili e di essere amati come siamo. Prima di ogni merito".

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