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Rivarolo

"La nuova perizia su Tarabella è fondamentale per aprire il processo"

La nuova indagine servirà a rivalutare la pericolosità sociale dell'uomo e la sua capacità di stare in giudizio

"La nuova perizia su Tarabella è fondamentale per aprire il processo"

Renzo Tarabella

Il tribunale di Ivrea, nella figura del giudice Marianna Tiseo, ha disposto ieri mattina una nuova perizia su Renzo Tarabella, il pensionato 84enne che il 10 aprile 2021 ha ucciso a colpi di pistola, nel suo alloggio di corso Italia a Rivarolo Canavese, la moglie Maria Grazia Valovatto, il figlio disabile Wilson e i vicini di casa Osvaldo Dighera e Liliana Heidempergher.

Renzo Tarabella

L'uomo, poi, con la stessa pistola con cui aveva freddato le sue vittime, aveva tentato di togliersi la vita, senza riuscirci, ma riportando gravissime ferite al volto.

La perizia, affidata alla dottoressa Patrizia De Rosa, servirà a rivalutare, entro febbraio, la pericolosità sociale dell'uomo e, soprattutto, la sua capacità di stare in giudizio. L'esito degli esami stabilirà se partirà o meno un processo a carico dell'uomo, oggi in libertà vigilata in una struttura protetta.

"Rivalutare la capacità di stare in giudizio è fondamentale - dice Francesca Dighera, la figlia dei vicini di casa freddati da Tarabella, assistita dall'avvocato Sergio Bersano - si tratta di un primo passo nel percorso che auspico possa portare all'apertura del processo". La nuova perizia verrà discussa nell'udienza fissata al prossimo 9 febbraio.

Il luogo della strage

Ieri è però spuntato fuori anche un atto, portato dal legale di Francesca Dighera. L'avvocato ha infatti portato in udienza un decreto scritto dal giudice tutelare di Ivrea il 17 ottobre con cui veniva nominato un amministratore di sostegno a Tarabella. Nel decreto emerge che l'uomo era capace di comprendere e di rispondere alle domande.

E infatti al pensionato era stato nominato l'amministratore di sostegno (l'avvocato Marco Servente) e non un tutore, come invece di solito si fa con chi non è capace di stare in giudizio. Con tutta evidenza, dopo le dimissioni dal reparto dei detenuti delle Molinette di Torino, dove in un primo momento l'anziano era stato ricoverato, Tarabella potrebbe aver recuperato le capacità cognitive che qualche mese fa la dottoressa De Rosa non aveva avuto modo di certificare.

Tarabella ora si trova in regime di libertà vigilata nella struttura Il Residence Valchiusella a Vico Canavese.

L'arma di Tarabella, la lettera e quel tentativo di suicidio.

Tarabella aveva un'arma in casa, anche se non aveva più i titoli idonei alla detenzione di armi. Il porto d'armi a uso sportivo che aveva dal 1978 era scaduto nel 2016. E da allora non l'aveva rinnovato. Con quella stessa pistola aveva tentato di togliersi la vita. Era sopravvissuto.

Aveva poi detto che essere rimasto vivo rappresentava per lui già una condanna. E ha affermato di aver agito perché rimasto solo.

All'arma si faceva riferimento anche in una lettera, in cui un'operatrice sanitaria del Ciss che assisteva il figlio Wilson scriveva che "la cosa che più mi inquieta è che il signor Renzo ha in casa una pistola carica che durante il giorno ripone nel cassetto della credenza in tinello, mentre a suo dire la notte tiene sul comodino". Probabilmente era la stessa pistola utilizzata sette anni dopo per compiere la strage.

L'avvocato Bersano aveva detto, in quell'occazione, che "alla luce delle emergenze processuali ribadisco che con maggiore attenzione questa terribile tragedia poteva essere evitata".

Francesca Dighera: la scrittura e il ricordo

Quando, lo scorso aprile, a Rivarolo era stato presentato il fondo librario contenete i libri dei coniugi Dighera, la figlia Francesca aveva lanciato al pubblico un messaggio forte sulla detenzione delle armi, che contrastava con le timidezze della politica nel condannarne l’utilizzo.

Tarabella e i suoi genitori

“Le armi non sono mai la soluzione” aveva detto senza mezzi termini. “Questo è ciò che mi hanno insegnato e trasmesso i miei genitori - aveva ribadito in un'intervista a La Voce -. In una realtà tranquilla come quella che viviamo non sentiamo spari di frequente, eppure ancora tante persone utilizzano le armi o le tengono in casa con l’idea di farsi giustizia da soli”. 

E Renzo Tarabella un'arma ce l'aveva. Forse non avrebbe dovuto avercela. “Una maggiore attenzione sociale - aveva concluso Dighera durante quell'intervista - avrebbe potuto evitare quella tragedia”.

Le parole di Tarabella a dieci giorni dalla strage

“Siamo stati completamente abbandonati, ho ucciso mia moglie e mio figlio perché la situazione era diventata insostenibile. Anche io volevo farla finita, è una punizione per me essere rimasto in vita”.

Queste erano le parole che Renzo Tarabella aveva detto al gip Ombretta Vanini e al pm Lea Lamonaca“Siamo stati abbandonati da tutti, io e mia moglie non ce la facevamo più - proseguiva -. Neanche mia figlia si occupava più di noi”

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