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21 Novembre 2016 - 18:55
Tff Torino
Si può essere strangolati da un personaggio? È capitato a un attore-icona come Lou Castel che viene raccontato in A pugni chiusi, un film di Pierpaolo De Sanctis che passa al Torino Film Festival nella sezione TFFdoc/Italiana.doc Nel docu la parabola artistica ed esistenziale di questo artista di origini svedesi che si è formato come attore, diventando il volto simbolo del cinema della contestazione di Bellocchio, Cavani, Samperi.
Un vissuto, il suo, "intrappolato" tra due personaggi entrambi diretti da Marco Bellocchio: l'Alessandro dell'esordio con I pugni in tasca (1965, film-manifesto di una generazione che stava per esplodere di lì a poco con il '68) e il Giovanni della rinascita con Gli occhi, la bocca (1982, l'inizio di una seconda carriera dopo la stagione della militanza politica degli anni '70).
Attraversando una Roma sospesa, a metà tra archeologia post-industriale e relitti pasoliniani, Castel si apre ad un lungo flusso di (in)coscienza sulla complessità e le contraddizioni del suo ruolo d'attore e, insieme, di militante politico. E questo in un generoso atto d'amore verso quello che è il suo mestiere oggi, dove recitare non è mai una cosa puramente meccanica, ma un modo di stare al mondo.
"'A pugni chiusi'- spiega il regista - è il risultato di un corteggiamento cominciato nel 2008, subito dopo il mio primo incontro con Lou Castel. Un rapporto fatto di telefonate, viaggi a Parigi (dove Lou vive), scambi di mail, proposte, tentativi abortiti, nuove soluzioni, grandi rifiuti (suoi), tenaci ostinazioni (mie). Sino al punto in cui, un passo alla volta, - spiega De Sanctis - ci siamo finalmente trovati 'complici', sperimentando un approccio nuovo e inaspettato al film che avevo in mente di fare: un metodo di "creazione diretta", che ha trasformato lo spessore della recitazione da un recitato storico del passato a un recitato drammatico del presente; un linguaggio imprevedibile per entrambi, scaturito nell'urgenza dell'essere 'ora' e 'qui'".
Ha fatto registrare un aumento di pubblico del 4% il primo weekend del 34/o Torino Film Festival, che si è aperto venerdì scorso e proseguirà fino a domenica 27 novembre.
In particolare - hanno reso noto gli organizzatori - è aumentata la vendita dei biglietti singoli e nell'acquisto online. Molti film sono sold out e si registrano code per le proiezioni di tutte le sezioni, in tutte le 12 sale in cui si svolge il festival. Dai film del concorso a Festa Mobile, ai film horror e alla rassegna punk.
E' un film tutto al femminile, ma anche, se non soprattutto, sul valore dell'impegno civile, sul coraggio di schierarsi, di mettersi in gioco, di condividere con gli altri le battaglie per la libertà e la giustizia, l'ultimo lavoro di Daniele Segre, 'Nome di battaglia donna', in programma domani al Torino Film Festival, in Festa Mobile. "Ho sentito il bisogno - spiega - di raccontare la verità".
Nel film otto donne partigiane aderenti ai 'Gruppi di difesa della donna per l'assistenza ai combattenti per la libertà' raccontano pezzi delle loro vite, di quando avevano dai 15 ai 20 anni e facevano le staffette partigiane. Con una lucidità, una chiarezza di pensiero che lascia sgomenti. "Rifarei tutto di nuovo - dice Carla Appiano, 87 anni, di Torino, entrata nelle Brigate Autonome nel settembre 1944, a 15 anni - anche se ho visto intorno a me morire tanti amici e compagne, ho raccolto i racconti di mie compagne torturate dai fascisti, ma in quel momento non c'era storia, dovevi decidere da che parte stare e io sapevo bene da che parte volevo schierarmi".
Prodotto da I Cammelli e realizzato in collaborazione con l'Anpi, la pellicola è il frutto di un lungo lavoro di raccolta di storie e di racconti in prima persona. "In un tempo di revisionismi, in cui le partigiane e i partigiani sono dimenticati o messi sullo stesso piano dei criminali e torturatori della X Mas - dice Segre - ho sentito la necessità di esplorare e raccontare il grande contributo che hanno dato alla liberazione dal nazifascismo, donne straordinarie. Che non esitarono un attimo a imbracciare le armi e a rischiare la vita per difendere la loro autodeterminazione e libertà. Parole che oggi suonano desuete, in realtà quella nostra storia ha ancora tanto da insegnare, soprattutto alle nuove generazioni".
"Sono felice che Segre abbia fatto un film come questo - continua un'altra protagonista del documentario, Gisella Giambone, 94 anni, nome di battaglia 'Anna', figlia di Eusebio Giambone, fucilato con altri membri del Cln al Martinetto di Torino - perché i ragazzi devono sapere da quale storia vengono.
So che il film andrà nelle scuole, è importantissimo, perché i giovani oggi non hanno ideali e non sanno i rischi che si possono correre quando al potere arrivano personaggi impresentabili, autoritari, se non pazzi, come lo furono i nazisti e i fascisti. Siamo rimaste in poche a poter raccontare dal vivo queste cose, accadute in realtà non molti anni fa, è giusto che vengano documentate".
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