Si era portato in casa la moglie e l'amante. Convinto di poter convivere con due donne senza che alcuna di loro protestasse. E invece quel rapporto forzato a tre, sotto lo stesso tetto, aveva aperto la strada rancori, recriminazioni e, anche, a violenze domestiche. Alla sbarra, con l'accusa di maltrattamenti in famiglia, è finito un uomo originario del Camerun ma residente a Chivasso, J.S.W. difeso dall'avvocato Maria Luisa Bravo, medico di professione ed impegnato in progetti di integrazione culturale come la compagna, E.B. mediatrice culturale, costituita parte civile con l'avvocato Alessandra Bazzaro. La sentenza è arrivata giovedì scorso: il giudice Elena Stoppini del Tribunale di Ivrea ha condannato l'imputato, comunque incensurato, alla pena di un anno e cinque mesi di reclusione, con la concessione delle attenuanti e della condizionale, e al pagamento di tutte le spese processuali, oltre alla corresponsione di una provvisionale di 5mila euro. Una condanna minore rispetto ai 2 anni ed 8 mesi richiesti dal Pubblico Ministero Michela Begognè. Agli atti del processo risultava, in particolare, un episodio risalente al 2014, quando J.S.W. avrebbe sferrato un pugno a E.B., costringendola a chiamare i Carabinieri e a recarsi al Pronto Soccorso. Ma numerosi sarebbe stati i litigi, raccontati in aula anche dalla figlia più grande della coppia. "Stai attenta, mamma, che questa signora ti porta via il papà" avrebbe addirittura osservato la ragazzina, ad un certo punto, tra le mura domestiche. L'avvocato di parte civile non ha dubbi. "Non era una questione culturale – ha osservato Bazzaro - la situazione di un uomo che viveva in casa con due donne, che forse lui dava per scontata ma che la moglie non condivideva". Di diverso avviso la difesa: "un tradimento di per sè non è punibile, deve esserci un nesso teleologico ed un solo episodio, con una prognosi di dieci giorni, non può essere considerato una prova". Le testimonianze hanno però permesso di ricostruire a sufficienza l'atmosfera che aleggiava nella casa. Quella relazione extraconiugale o, anzi, intraconiugale, sarebbe iniziata proprio nell'ambito di alcuni progetti: la coppia ospitava presso la propria casa persone originarie del Camerun, dando loro il vitto in cambio di un aiuto nelle faccende domestiche. "J.S.W. faceva vivere la compagna – ha sostenuto il Pm – senza che lei potesse sollevare rimostranze, come se fosse tutto normale. Le diceva che non era brava come mamma né nel lavoro ma che l'altra era più brava e doveva aiutarla. Veniva trattata come schiava. Il rapporto era degenerato in atteggiamenti violenti". A proposito delle usanze africane importate qui in Italia, la figlia della coppia aveva riferito per esempio, in aula, che quando le cose andavano bene, il padre tornava dai suoi viaggi in Camerun "portando tanto cibo", viceversa, se andava a male, tornava con poco o nulla. La convivenza a tre sarebbe terminata quando l'amante avrebbe deciso di andarsene e allora anche l'uomo si sarebbe allontanato dalla famiglia.
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