Un'architettura d'epoca carolingia Il battistero e la pieve, sorti in piena età carolingia, costituiscono uno dei principali esempi di architettura "pre-romanica" in
Piemonte. Sono costruiti essenzialmente con ciottoli e schegge di pietra locale; le coperture sono quasi interamente realizzate con le caratteristiche
lose (lastre naturali di pietra).
Il battistero presenta una pianta ottagonale ed è coperto da una volta a spicchi. Il campanile in laterizi, posto sopra la volta, costituisce manifestamente un'aggiunta più tarda (probabilmente nel
XIII secolo) di stile
romanico. Successiva è anche l'
abside rettangolare che fuoriesce dal perimetro ottagonale, con funzione di
presbiterio del battistero.
In origine, come per altre costruzioni simili, il battistero doveva essere staccato dalla chiesa; più tardi si costruì, sul lato sud, un passaggio che lo unisce ad essa. La pieve, ad aula unica, presenta un'apparente pianta a
croce latina, con tre nicchioni che si aprono nell'area
presbiteriale con
volte a botte. Vi si entra attraverso il campanile che si appoggia alla
navata, costruito anch'esso in epoca più tarda (forse XIII secolo), annullando contemporaneamente l'ingresso primitivo. La tradizione – credibile, anche se non suffragata da documenti- vuole che il complesso paleocristiano sia sorto sotto gli
Anscarici che nel
IX secolo reggevano la Marca d'Ivrea. Una leggenda romantica vuole che vi sia sepolta la bella ed infelice Ansgarda, figlia di
Anscario, moglie ripudiata del
re di Francia Ludovico II il Balbo, ritiratasi a meditare in questo luogo, dove trovò poi sepoltura nell'anno
889. Una lapide apocrifa posta nel battistero ed un sarcofago sul piazzale del complesso plebano hanno alimentato questo mito. La pieve, posta sull'altura del castello, doveva avere funzioni di "chiesa castrense" (un documento del
1232 la cita come chiesa
in castrum Septimi); ma – per concessione dei Signori del luogo- dovette presto fungere anche da parrocchiale. Svolse tale ruolo sino al
1661 quando, al suo posto, venne eletta a parrocchiale la chiesa di Sant'Andrea, situata al centro del borgo di Settimo Vittone. Il complesso monumentale si è salvato dalle ingiurie del tempo per merito di interventi di restauro svolti negli anni
1896-
97 a cura dell'Ufficio Regionale per la Conservazione dei Monumenti, diretto, a quella data, da
Alfredo d'Andrade: si sono conservati numerosi suoi disegni per i lavori di restauro da eseguire. Risale a tale intervento l'inserimento in facciata di una bifora di foggia romanica con "capitello a stampella". Ai lavori del d'Andrate fecero seguito altri interventi; durante quelli eseguiti nell'ultima decade del
XX secolo, è stata recuperata una gran parte degli affreschi che coprono quasi interamente le pareti della pieve.
Gli Affreschi
Gli affreschi che si trovano all'interno della chiesa e lungo le pareti del corridoio che porta al battistero, costituiscono una testimonianza, straordinariamente ricca, dell'evoluzione che la pittura ha avuto, su di un arco di tempo lungo quasi tre secoli, in terra di Canavese. Non è facile nella "disordinata" impaginazione degli affreschi trovare il filo cronologico che ci fa passare dalla prima metà del
XII secolo fin quasi sul finire del
Quattrocento. Le raffigurazioni più antiche sono i frammenti del
Giudizio Universale, riconoscibili (pur con molte difficoltà, stante il precario stato di conservazione) in alto nell'arco absidato: le gote arrossate e gli occhi sgranati (visibili nelle foto prese da vicino) ne testimoniano inequivocabilmente l'appartenenza alla pittura romanica. Databile all'altezza del XIII secolo è l'immagine del
San Michele Arcangelo che pesa le anime posta nel secondo registro degli affreschi che occupano la parete destra della chiesa. Tra i dipinti collocabili a cavallo tra il XIII ed il XIV secolo troviamo addirittura un affresco autografo: si tratta della monumentale e ieratica figura di un santo regale (
San Cristoforo ?) che tiene in mano un ramo con frutti (una palma con datteri?), firmata da tal "Guilielmus de Orta". In qualche continuità temporale e stilistica con esso, nel registro inferiore della stessa parete, si trova la scena del
Miracolo di San Nicola di Bari ed una
Adorazione dei Magi con una Madonna che tiene in mano uno stranissimo fiore. Sempre sulla parete destra, troviamo una delle migliori pitture trecentesche presenti nella chiesa: un
Santo vescovo in trono regale ed elegante, intento a scambiare cartigli con un monaco; essa è dovuta, probabilmente, allo stesso pittore che, nel terzo registro superiore della parete, ha dipinto un'
Ultima Cena(ormai alquanto mutilata). Accanto al
Santo vescovo in trono, è posto un affresco dell'inizio del XV secolo che raffigura la
Visione del beato Pietro di Lussemburgo, con il beato in preghiera davanti al crocifisso al quale appare l'immagine della Madonna col Bambino Nella prima metà del
XV secolo sono impegnati ad affrescare la pieve, pittori dei quali esiste una relativamente più ricca documentazione. Si tratta, innanzi tutto, di Dux Aimo (
Aimone Duce) che qui dipinge, sulla parete di sinistra, un
Angelo con le tre Marie al sepolcro, opera che lascia trasparire il suo gusto miniaturitico. Nella
Adorazione dei Magi, e nella scena frammentaria di
San Francesco che riceve le stigmate, poste nel corridoio di collegamento al battistero, si è voluto riconoscere la prima maniera stilistica di un artista eporediese,
Giacomino da Ivrea. La parte meglio conservata degli affreschi è quella fatta realizzare, nella piccola cappella destra del presbiterio, da Giovanni Martino Avogadro di Casanova, pievano della chiesa negli anni sessanta - ottanta del
XV secolo. Il programma iconografico doveva essere ben meditato. Sulla
volta a botte, in una mandorla di luce, è raffigurato un
Cristo benedicente – con una folta barba bianca e l'aspetto di un anziano che, forse volutamente, lo assimilano alla figura dell'
Eterno; attorno a lui le figure del "Tetramorfo", vale a dire i simboli dei
Quattro Evangelisti. Sulla parete di fondo è raffigurata, sopra una piccola finestra, una
Pietà; ai suoi lati trovano posto un
San Lorenzo ed un
San Martino che divide il mantello con un povero. Infine, sulle pareti laterali troviamo, da una parte, la scena di
San Lorenzo che presenta un devoto alla Madonna e, dall'altra le sante
Marta(?), Lucia e Caterina di Alessandria. L'ignoto
Maestro degli affreschi della cappella Avogadro si dimostra, nella resa volumetrica nei corpi e nell'uso di tenui colori, aggiornato sulla lezione
pierfrancescana, ma gli fa difetto (come emerge dall'approssimazione dei volti e dei panneggi) la piena padronanza dei mezzi pittorici.
Il contesto ambientale
La pieve di San Lorenzo ha come sfondo una sorta di anfiteatro naturale circondato da colline moreniche, che si estende sopra il paese di Settimo e le sue frazioni, dove il clima è particolarmente mite. Vi cresce l'olivo, come si può constatare anche dalle piante che stanno nei pressi della chiesa. La coltura di gran lunga prevalente è quella della vite. Un lavoro secolare di costruzione di terrazzamenti, strappati alla montagna, sostenuti da muri a secco e riempiti di terra riportata, ha consentito l'impianto di splendidi vigneti di
nebbiolo. I pergolati assumono l'aspetto di un'opera ciclopica, sorretti come sono dai tipici
tupiun, colonnette in pietra imbiancate con la calce che trattengono il calore del giorno per restituirlo dopo il tramonto. Tutta la conca è attraversata da una rete di suggestive
mulattiere che collegano tra di loro e con le frazioni di fondovalle le abitazioni e le vigne che stanno in alto sulla conca. La pieve di san Lorenzo è un punto di snodo di tale rete di mulattiere: prendendo a destra si arriva a Montestrutto, dopo aver toccato la chiesetta
romanica di San Giacomo; volgendo a sinistra si arriva ai ruderi del castello di Cesnola e poi a Torredaniele. Lungo sentieri analoghi dovevano muoversi i viaggiatori ed i pellegrini che percorrevano la via Francigena e che preferivano muoversi a mezza costa anziché lungo le più pericolose zone di fondovalle, dove scorre la
Dora Baltea.