E' in vendita sulle colline tra Chieri e Pecetto, in provincia di Torino, la villa che fu di Silvio Pellico. Colui che sarebbe diventato uno dei grandi padri del Risorgimento italiano trascorreva in quella residenza i suoi giorni di vacanza quando era ragazzo. Da Saluzzo, dove era nato, o da Milano, dove la famiglia si era trasferita, ci andava in estate con il padre Onorato Pellico, la madre, Margherita Tournier, originaria della Savoia, e i suoi quattro fratelli. Ora, duecento e passa anni dopo, la villa è in vendita. L'edificio è del Settecento. Si tratta di un grande complesso in stile squisitamente piemontese che sorge sulle colline della Provincia di Torino tra Chieri e Pecetto in un grande parco di 90 mila metri quadri. Il complesso è stato di recente sottoposto a un intervento conservativo ed ora è stato messo in vendita. L'autore de "Le mie prigioni", nato a Saluzzo il 25 giugno del 1789, vi trascorse gli anni forse più felici della sua vita. Vi andava con la famiglia negli anni dell'adolescenza, prima di andare a studiare scienze commerciali a Lione. Pellico continuò a frequentare la villa anche dopo essere rientrato dalla Francia, quando la famiglia si era trasferita a Milano. Ma fu a Milano che la sua vita cambiò radicalmente. Fu infatti nel capoluogo lombardo che Silvio Pellico conobbe intellettuali e uomini di lettere come Vincenzo Monti, Ugo Foscolo, Giovanni Berchet. Insieme a loro (in particolare insieme a Foscolo e Monti), Pellico arrivò a collaborare con "Il Conciliatore". Grazie alla sua passione per le lettere, Pellico entrò in quegli anni in contatto con esponenti dell'aristocrazia milanese e, nello stesso tempo, con alcuni dei principali esponenti del pensiero romantico. E affinò quella sua sensibilità di letterato "impegnato" che - da opere come "La Francesca da Rimini" - lo porterà a concepire "Le Mie prigioni". Quel diario della sua prigionia nel carcere austriaco dello Spielberg è considerato non solo la sua opera più nota, ma anche una delle sorgenti più potenti del nascente movimento risorgimentale italiano. Il principe Metternich ammise che quel libro danneggiò l'Austria "più di una battaglia persa".
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