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27 Dicembre 2017 - 15:22
Lo Saca di Cavagnolo
“Vorremmo vedere Schmidheiny in un letto, con l’ossigeno alla bocca, proprio come nostro padre”.
Questo lo sfogo, a margine del processo Eternit bis ripreso la scorsa settimana a Torino, dei cinque figli di Giulio Testore, ex operaio di Cavagnolo morto per mesotelioma pleurico nel 2008. Quello di Testore è uno dei due casi di morte per cui il magnate svizzero viene processato a Torino. “Ha lavorato nello stabilimento per 27 anni. Poi, nell’82, la fabbrica ha chiuso i battenti e lui è andato in prepensionamento - raccontano al termine dell’udienza -. Faceva fatica a respirare, vomitava sangue, di notte si svegliava di soprassalto e correva sul balcone a prendere aria. E’ stato fortunato ad arrivare a 82 anni, dall’autopsia è emerso che i suoi polmoni e la pleura erano pieni di fibre di amianto”.
“Papà lavorava nel reparto dove si mescolava l’amianto con il cemento - aggiungono -. Senza guanti, senza mascherina. La sua giacca era sempre piena di polvere, con un odore di olio e cemento che non possiamo dimenticare. Anche noi abbiamo respirato amianto per anni. E abbiamo paura di ammalarci”.
Il magnate svizzero Stephan Schmideiny è chiamato a rispondere di omicidio colposo anche per un altro caso di morte di amianto, di una casalinga che abitava a un chilometro dalla fabbrica.
Lo scorso 13 dicembre, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso della Procura di Torino e della Procura generale del Piemonte contro la decisione del gup Federica Bompieri di cancellare l’accusa di omicidio volontario e di dividere il maxi-processo in quattro differenti tronconi. La decisione di fare ricorso era stata presa in prima persona dal procuratore generale Francesco Saluzzo, seguito dal sostituto pg Carlo Maria Pellicano e, per la procura ordinaria, dal pm Gianfranco Colace, il magistrato che nel processo in aula sostiene la pubblica accusa.
“Siamo rimasti molto amareggiati e sorpresi per lo ‘spacchettamento’ del processo su quattro procure e per la derubricazione del capo d’accusa - commenta Andrea Gavazza, sindaco di Cavagnolo - Ma queste decisioni non possono far venir meno la sete di giustizia, confidiamo nell’esito del processo: per quanto ci riguarda le uniche certezze sono il dolore dei familiari delle vittime e le condotte estremamente gravi degli imputati”.
Nel corso dell’udienza, il botta e risposta tra difesa e accusa sulla richiesta di numerose associazioni di costituirsi parte civile
“Alcuni enti e associazioni- si lamentato l’avvocato Astolfo Di Amato, difensore di Stephan Schmidheiny - oggi chiedono di essere parte civile nel processo, sono nate dopo il verificarsi dei fatti in oggetto e non hanno nulla a che vedere con il territorio di Cavagnolo”.
“L’elemento temporale è irrilevante, così come è irrilevante l’aspetto territoriale - è stata la replica del pm Gianfranco Colace -. In un processo come questo, la presenza di parti civili non crea nessuno squilibrio tra l’accusa e la difesa”.
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