Il deposito delle motivazioni della sentenza Eternit non poteva passare inosservato per la comunità di Cavagnolo, dove ancora oggi si piangono le vittime dell’ex Saca, consociata dell’Eternit, di via XXIV Maggio. Nelle 146 pagine di motivazione la Cassazione spiega le ragioni che hanno condotto a tale decisione così tanto contestata da tutti ma soprattutto dai parenti e familiari delle vittime che sono state toccate da vicino da quelle tragedie. “A far data dall’agosto dell’anno 1993 – ha chiarito la Corte – era ormai acclarato l’effetto nocivo delle polveri di amianto la cui lavorazione, in quell’anno, era stata definitivamente inibita, con comando agli Enti pubblici di provvedere alla bonifica dei siti”. “Da tale data – prosegue il verdetto – a quella del rinvio a giudizio (2009) e della sentenza di primo grado (13/02/2012) sono passati ben oltre i 15 anni previsti per la maturazione della prescrizione in base alla legge 251 del 2005”. La conseguenza è che, “per effetto della constatazione della prescrizione del reato, intervenuta anteriormente alla sentenza di primo grado”, cadono “tutte le questioni sostanziali concernenti gli interessi civili e il risarcimento dei danni”. “La sentenza sostanzialmente certifica l’inquinamento e la pericolosità dell’amianto - spiega l’avvocato Patrizia Bugnano di Brozolo, legale di diversi cavagnolesi costituitisi nel processo -. In linea teorica con questa sentenza si potrebbe pensare di intraprendere una causa civile per i risarcimenti ma nel caso specifico ritengo non sia percorribile per i costi che si dovrebbero affrontare e con l’incertezza e le difficoltà che vi sarebbero a recuperare gli eventuali risarcimenti all’estero. Dopo le belle parole del premier Renzi di vicinanza ai cittadini e sulla volontà espressa di riscrivere le norme sulla prescrizione, tutto tace nuovamente e i cittadini si ritrovano un altra volta da soli”. “A mio parere - inforca l’avvocato Sabrina Balzola di Cavagnolo, che assiste decine di cittadini costituitisi nel processo -, ciò che però lascia più basiti è l'argomentazione utilizzata per i giudici di legittimità per sottolineare che l’imputazione di disastro a carico di Schmidheiny non era la più adatta da applicare per il rinvio a giudizio dal momento che la condanna massima (12 anni di reclusione, ndr) sarebbe troppo bassa per chi miete morti e malati”. In pratica, scrivono i giudici, “colui che dolosamente provoca, con la condotta produttiva di disastro, plurimi omicidi, ovverossia, in sostanza, una strage, verrebbe punito con solo 12 anni di carcere e questo è insostenibile dal punto di vista sistematico, oltre che contrario al buon senso”. Gli ermellini ritengono dunque che il “Tribunale ha confuso la permanenza del reato con la permanenza degli effetti del reato, la Corte di Appello ha inopinatamente aggiunto all’evento costitutivo del disastro eventi rispetto ad esso estranei ed ulteriori, quali quelli delle malattie e delle morti, costitutivi semmai di differenti delitti di lesioni e di omicidio”. “Ora, delle due l’una: o le impostazioni possibili erano più di una e tutte correttamente supportabili dal punto di vista giuridico oppure no ed allora forse sono state sottovalutate le conseguenze che l'inquadramento del reato avrebbe potuto determinare - conclude Balzola -. Ciò che torno a dire e non mi stancherò mai di dire è che se entrambe le impostazioni relative al decorso della prescrizione erano giuridicamente supportabili, avrebbe dovuto prevalere quella che ha portato alla condanna, in ragione delle plurime tragedie famigliari che la questione Eternit ha determinato. Certo, la Procura di Torino non si ferma e a breve presumibilmente partirà un altro processo per omicidio limitato a 258 persone decedute, ma ho come l'impressione che ormai il più sia fatto, in considerazione della elevata differenza di persone offese e delle già palesate difese dell'imputato. Spero vivamente di sbagliarmi...”
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