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22 Gennaio 2020 - 11:09
Stando ad una tradizione riscontrata di recente in area folklorica canavesana, le streghe – d’altronde assimilabili ai morti/spiriti dei morti – sarebbero in grado di sottrarre i neonati persino dal petto delle madri, «anche se (queste ultime) si stringevano il bambino forte forte».
Secondo uno schema solito, lo scopo delle streghe è quello di ucciderli.
Leggiamo direttamente l’attestazione canavesana (1):
«(…) E si diceva anche che se non mettevi da mangiare fuori la sera dei Morti… o gli spiriti… sai, dei morti ti entravano in casa e poi magari ti spostavano le sedie, ti sbattevano le porte per dispetto che non avevano avuto da mangiare (2) oppure le masche prendevano i bambini, e si diceva anche che le masche andavano a prendere i bambini appena nati e poi li uccidevano e facevano… il sabba e via dicendo con questi bambini qua… e… e pensa che… aspettavano che il bambino nascesse, poi lo prendevano dalla culla… poteva esserci la mamma, il papà, poteva esserci chiunque… a parte che arrivavano sotto forma di… tipo civette, urlavano tantissimo, poi si trasformavano in… streghe, una volta lì, e la mamma anche se si stringevano il bambino forte forte come si avvicinavano queste streghe… queste donne cattive… guardava il bambino… ce l’avevano loro (le streghe cioè) e la mamma in mano aveva più soltanto un fascio di… di paglia, e chiunque cercava di contrastarle entro massimo due giorni moriva».
Le madri insomma, quasi senza rendersene conto, si ritrovavano tra le braccia, in vece del bambino, «più soltanto un fascio di paglia» (3).
Chi d’altronde tentava di contrapporsi all’aggressione di questi esseri maligni era destinato, nel giro di brevissimo tempo, a una morte sicura.
A prescindere dalle riflessioni di ordine teorico che si potrebbero avanzare in linea e sullo sfondo di un modello narratologico, di contesto non immediato, che ho definito della analogia sintattica (4), mi limiterò qui, “semplicemente”, a ricordare un racconto antico (peraltro celebre) in cui un bambino – nel caso in questione il cadavere di un bambino – viene, nonostante la presenza di parecchie persone, rapito dalle streghe e sostituito con un fantoccio di paglia; e la madre, abbracciando il corpo senza vita del figlio, si accorgerà di stringere fra le braccia nient’altro – appunto - che un manichino di paglia (5).
Per parte sua, il forzuto cappadoce che aveva osato sfidare le streghe si troverà ridotto in pessimo stato; oramai, anzi, irreversibilmente e rapidamente condannato a una brutta fine.
Si tratta del Satyricon di Petronio (LXIII 3-9):
«Quand’ero ancora un capellone – perché da ragazzo facevo la bella vita – morì l’amasio del padrone, una perla, per Ercole, (…) e con tutti i numeri. Orbene, mentre la madre sventurata lo piangeva e si era in parecchi alla veglia funebre, tutt’ad un tratto cominciarono a stridere le streghe; pareva un cane all’inseguimento di una lepre. Stava da noi, allora, un Cappadoce, uno spilungone coraggioso e forzuto: avrebbe potuto sollevare un bue infuriato. Questi, sguainata arditamente la spada, si slanciò fuori dalla porta, dopo aver fasciato scrupolosamente la mano sinistra, e trafisse una di quelle femmine, facciamo conto qui (sia salva la parte che tocco!). Sentimmo un gemito e – non racconto frottole – non le vedemmo di persona. Quel cretinotto, poi, ritornato dentro si gettò nel letto e aveva tutto il corpo pieno di lividi, come se fosse stato preso a sferzate: perché, è chiaro, lo aveva toccato la mala mano. Sbarrata la porta, ritorniamo di nuovo all’ufficio funebre; ma la madre, mentre abbraccia il corpo del figlio, lo tocca e si accorge che era diventato un manichino di paglia. Non aveva più il cuore, non aveva gli intestini, non aveva più nulla: è chiaro che le streghe avevano involato il ragazzo e avevano messo al posto suo un bamboccione di paglia. / Vi prego, bisogna che mi crediate, sono femmine che la sanno lunga, sono Creature della Notte, e mettono tutto sottosopra. Del resto quel cretino di uno spilungone dopo questo fatto non recuperò più il suo colorito, anzi pochi giorni dopo morì pazzo furioso» (6).
Le somiglianze (nonché certi effetti di variazione e di permuta) fra la tradizione “attuale” e il racconto antico sono notevoli; e risultano, del resto, di immediata evidenza.
Note
1. Informazioni assunte a Castellamonte nel giugno 2005 da Maria Cristina Marchiando nell’ambito di una ricerca, da me organizzata e diretta (Antropologia culturale – Politecnico di Torino), sul folklore di alcune località del Piemonte; il fascicolo relativo è disponibile presso il Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU).
2. Su morti e sfera del cibo cfr. il mio Un racconto piemontese e uno siciliano: il ‘figlio troppo mangione’, in Borghini, Varia Historia. Narrazione, territorio, paesaggio: il folklore come mitologia, Roma, Aracne 2005 (circa la notte dei Morti, in part. nota 12).
3. Da rilevare che, a sua volta, la masca viene talora descritta mentre tiene sotto il braccio paglia o fieno. Così, sempre per il Canavese, Alessandro Pagliero, mio allievo di alcuni anni orsono, cui devo la notizia.
Si tratta di ‘sezioni rappresentative’ che vanno inquadrate in contesti più ampi ed articolati; anche grammaticalmente più complessi. Si vedano note 4 e 5.
4. Rinvio ad alcuni miei lavori: Semiosi nel folklore III. Prospettive tipologiche e analisi ‘locali’, Piazza al Serchio (LU), Centro di documentazione della tradizione orale 2003; Zonodrakontis. Momenti di una mitologia, Roma, Meltemi 2003; anche Causativo d’identità. Il ‘dominio semantico’ nei racconti di folklore: a proposito di alcune risultanze sintattiche, in “Quaderni della Sez. di Glottologia e Linguistica del Dip. di Studi Medievali e Moderni dell’Università “G. D’Annunzio” di Chieti”, 15-6, 2003-4 (a cura di L. Mucciante), pp. 17 sgg..
5. Per un inquadramento folklorico (e semiotico) più generale si veda già il mio intervento dal titolo Il “primo nodo del mattino”: la scopa, la paglia. La “sposa di fieno” e l’astuta “servetta” di Quart. Verso il modello analogico, Atti del convegno “Immaginario, Territorio, Paesaggio”, Piazza al Serchio (LU), Centro di documentazione della tradizione orale, 9 dicembre 2000, in “Tradizioni Popolari”, I, 1, giugno 2002 (Experiences Verlag/Koeln e Tipolito 2000/Lucca; www.tradizionipopolari.org), pp. 35 sgg.. Da consultare altresì il mio “Paillasse”, relazione tenuta nell’ambito del convegno internazionale di studi “Toponimi e antroponimi: Beni-documento e Spie di identità per la Lettura, la Didattica e il Governo del Territorio”, organizzato dal Dip. di Teoria e Storia delle Istituzioni Giuridiche e Politiche nella Società Moderna e Contemporanea dell’Univ. di Salerno, Cattedre di Geografia Generale e di Geografia, Salerno, 14-16 novembre 2002, in corso di stampa negli atti. Anche A. Borghini – F. De Carlo, Esseri del negativo e sfera del vino nelle Valli Ossolane e altrove. Alcuni esempi, in “Le Apuane”, XXIII, 44, 2002, pp. 67 sgg..
6. «Cum adhuc capillatus essem, nam a puero vitam Chiam gessi, ipsimi nostri delicatus decessit, mehercules margaritum, caccitus et omnium numerum. Cum ergo illum mater misella plangeret et nos tum plures in tristimonio essemus, subito stridere (7) strigae coeperunt; putares canem leporem persequi. Habebamus tunc hominem Cappadocem, longum, valde audaculum et qui valebat; poterat bovem iratum tollere (8). Hic audacter stricto gladio extra ostium procucurrit, involuta sinistra manu curiose, et mulierem tanquam hoc loco – salvum sit quod tango! – mediam traiecit. Audimus gemitum, et – plane non mentiar – ipsas non vidimus. Baro autem noster introversus se proiecit in lectum, et corpus totum lividum habebat quasi flagellis caesus, quia scilicet illum tetigerat mala manus.
Nos cluso ostio redimus iterum ad officium, sed dum mater amplexaret corpus filii sui, tangit et videt manuciolum de stramentis factum. Non cor habebat, non intestina, non quicquam: scilicet iam puerum strigae involaverant et supposuerant stramenticium vavatonem.
Rogo vos, oportet credatis, sunt mulieres plussciae, sunt Nocturnae (9), et quod sursum est, deorsum faciunt (10). Ceterum baro ille longus post hoc factum numquam coloris sui fuit, immo post paucos dies freneticus periit».
Per una visione d’insieme cfr. Petronio Arbitro, I racconti del ‘Satyricon’, a cura di P. Fedeli e R. Dimundo, Roma, Salerno Ed. 1988 (il brano tradotto è alle pagine 103 e 105).
Così, a suo tempo, L. Friedlaender (Petronius, Cena Trimalchionis, 2a ed., Leipzig 1906, rist. Amsterdam, Hakkert 1960, p. 169): “(…) aber als die Mutter die Leiche ihres Sohnes umarmen wollte, ruehrt sie sie an und sie sieht ein Buendel aus Stroh. Es hatte kein Herz, keine Eingeweide, nichts: naemlich die Unholdinnen hatten den Knaben schon geraubt und einen Wechselbalg aus Stroh untergeschoben. (…)” (LXIII 8).
7. Una congettura alternativa (stringere) e una certa linea di lettura dell’episodio petroniano ho proposto nel mio Note petroniane, in “Athenaeum”, LXXXVI, 2, 1998 (1. Satyr. LXIII 4: una proposta integrativa, pp. 555 sgg.).
8. Cfr. il mio Petr. Satyr. LXII 13 (tanquam bovis) e LXIII 5 (bovem iratum tollere), in Borghini, Varia Historia…, cit..
9. Cfr., al prop., il mio Petr. Satyr. LXIII e Apul. Met. II 21 sgg.: effetti paralleli, di prossima pubblicazione.
10. Cfr. A. Borghini – C. Pellegrino, Quod sursum est, deorsum faciunt (Petr., Satyr., 63, 9), in AA.VV., Miscellanea fra linguistica e letteratura, a cura di A. Loprieno, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane 1988 (per conto dell’Università di Perugia), pp. 53 sgg..
Il Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU) è impegnato alla costruzione di un archivio folklorico nazionale.
Testo tratto dalla rivista Canavèis
Alberto Borghini
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