Fondata nel 1947 l’Asso di Picche è la più antica delle squadre di aranceri del Carnevale d’Ivrea. Per loro questo è la 74esimo volta in piazza a tirar arance. Da diciassette anni alla guida della squadra c’è Corrado Bonesoli al suo quinto mandato: “Sono nel direttivo dal 1987, presidente dal 2003 e sono stato rieletto lo scorso anno – ci racconta -, ma sto iniziando a pensare ad un passaggio di consegno per il prossimo mandato”. 63 anni e grinta da vendere, Bonesoli ha iniziato a tirare nell’Asso di Picche nei primi anni Settanta: “E da allora non ho più smesso – aggiunge sorridendo – forse non più con la combattività di una volta, ma tiro e le prendo tutti gli anni. Ora che tutti mi conoscono sono un bel bersaglio”. Poi aggiunge: “Quand’ero un ragazzo era tutto diverso. Giù eravamo davvero pochi e sui carri c’erano solo adulti. Non come adesso. A quello scontro a prima vista ìmpari, rispondevamo con forze ed energie incredibili”. Oggi gli aranceri iscritti nell’Asso di Picche sono più di 1300 e la piazza esplode. “Quando il primo carro entra in piazza è sempre un’emozione grandissima. Possono passare anche cento anni, ma non passerà mai”. E poi aggiunge: “L’unico mio desiderio, ogni anno, è che tutto vada per il meglio, che nessuno si faccia male. Certo: un occhio pesto, un naso rotto, sta nei giochi. Ma l’importante è che non accada nulla di grave e che il martedì grasso si possa essere tutti insieme per commentare il divertimento dei giorni trascorsi. Perché alla fine il Carnevale è questo: divertimento”. I preparativi, intanto fervono e ci sono circa mille litri di vin brulè a bollire in pentola. “La battaglia è quel che conta. Tirare le arance. Ed è per questo che porto sempre tardi in piazza il vin brulè. Altrimenti vengono tutti a bere e chi tira? Normalmente lo porto tra il primo e il secondo giro dei carri”. Quest’anno un nuovo imbandieramento contorna Piazza di Città. “Lo scorso anno abbiamo fatto i lavori alla sede. Quest’anno, come promesso agli iscritti, abbiamo fatto le bandiere nuove riprendendo un vecchio disegno che riproduceva anche Pich e Pala e il simbolo della città di Ivrea. Ovviamente al centro delle bandiere resta il nostro Asso di Picche. Quello stemma elaborato nel 1947 da Gino Pasteris, disegnatore Olivetti. Il nome, invece, deriva da una casualità, giocando a carte. Qualcuno esclama “Picche!” e la scintilla si accende. Per quanto riguarda i colori, rosso e blu, invece l’ispirazione nasce da quelli del rione San Maurizio. L’Asso di Picche è stata la prima squadra a nascere, ma le arance, ad Ivrea, si tiravano già prima. In borghese, dai balconi. Chi era sui carri, invece, indossava maschere da scherma rinforzate, che a volte però si sfondavano. Per tirare, invece, non si usavano le casacche, ma le tute da lavoro. La nascita dela prima squadra creò talmente tanta preoccupazione all’interno delle forze dell’ordine, che tutti gli iscritti vennero schedati. Beh, in quella prima edizione con una squadra di aranceri in campo non solo non successe nulla, ma gli Asso di Picche vennero premiati per come avevano interpretato la battaglia e cioè in amicizia e allegria, spirito adottato fino ai giorni nostri. Agli albori, per entrare nella squadra, bisognava superare una selezione. Ci si allenava durante tutto l’anno lungo le rive della Dora, al cosiddetto Ghiaio, lanciando sassi. Solo chi riusciva a superare con il proprio tiro una certa distanza, poteva entrare a far parte della squadra. ondata nel 1947 l’Asso di Picche è la più antica delle squadre di aranceri del Carnevale d’Ivrea. Per loro questo è la 74esimo volta in piazza a tirar arance. Da diciassette anni alla guida della squadra c’è Corrado Bonesoli al suo quinto mandato: “Sono nel direttivo dal 1987, presidente dal 2003 e sono stato rieletto lo scorso anno – ci racconta -, ma sto iniziando a pensare ad un passaggio di consegno per il prossimo mandato”. 63 anni e grinta da vendere, Bonesoli ha iniziato a tirare nell’Asso di Picche nei primi anni Settanta: “E da allora non ho più smesso – aggiunge sorridendo – forse non più con la combattività di una volta, ma tiro e le prendo tutti gli anni. Ora che tutti mi conoscono sono un bel bersaglio”. Poi aggiunge: “Quand’ero un ragazzo era tutto diverso. Giù eravamo davvero pochi e sui carri c’erano solo adulti. Non come adesso. A quello scontro a prima vista ìmpari, rispondevamo con forze ed energie incredibili”. Oggi gli aranceri iscritti nell’Asso di Picche sono più di 1300 e la piazza esplode. “Quando il primo carro entra in piazza è sempre un’emozione grandissima. Possono passare anche cento anni, ma non passerà mai”. E poi aggiunge: “L’unico mio desiderio, ogni anno, è che tutto vada per il meglio, che nessuno si faccia male. Certo: un occhio pesto, un naso rotto, sta nei giochi. Ma l’importante è che non accada nulla di grave e che il martedì grasso si possa essere tutti insieme per commentare il divertimento dei giorni trascorsi. Perché alla fine il Carnevale è questo: divertimento”. I preparativi, intanto fervono e ci sono circa mille litri di vin brulè a bollire in pentola. “La battaglia è quel che conta. Tirare le arance. Ed è per questo che porto sempre tardi in piazza il vin brulè. Altrimenti vengono tutti a bere e chi tira? Normalmente lo porto tra il primo e il secondo giro dei carri”. Quest’anno un nuovo imbandieramento contorna Piazza di Città. “Lo scorso anno abbiamo fatto i lavori alla sede. Quest’anno, come promesso agli iscritti, abbiamo fatto le bandiere nuove riprendendo un vecchio disegno che riproduceva anche Pich e Pala e il simbolo della città di Ivrea. Ovviamente al centro delle bandiere resta il nostro Asso di Picche. Quello stemma elaborato nel 1947 da Gino Pasteris, disegnatore Olivetti. Il nome, invece, deriva da una casualità, giocando a carte. Qualcuno esclama “Picche!” e la scintilla si accende. Per quanto riguarda i colori, rosso e blu, invece l’ispirazione nasce da quelli del rione San Maurizio. L’Asso di Picche è stata la prima squadra a nascere, ma le arance, ad Ivrea, si tiravano già prima. In borghese, dai balconi. Chi era sui carri, invece, indossava maschere da scherma rinforzate, che a volte però si sfondavano. Per tirare, invece, non si usavano le casacche, ma le tute da lavoro. La nascita dela prima squadra creò talmente tanta preoccupazione all’interno delle forze dell’ordine, che tutti gli iscritti vennero schedati. Beh, in quella prima edizione con una squadra di aranceri in campo non solo non successe nulla, ma gli Asso di Picche vennero premiati per come avevano interpretato la battaglia e cioè in amicizia e allegria, spirito adottato fino ai giorni nostri. Agli albori, per entrare nella squadra, bisognava superare una selezione. Ci si allenava durante tutto l’anno lungo le rive della Dora, al cosiddetto Ghiaio, lanciando sassi. Solo chi riusciva a superare con il proprio tiro una certa distanza, poteva entrare a far parte della squadra.
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