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CALUSO - MAZZÈ. Biometano: tutte le domande a cui il progettista non risponde

L’ingegner Marco Beltrami del Geo Studio Engineering di Bovolone (VR) - il progettista dell’impianto del biometano nell’ex stabilimento Edilias - ha mandato ai giornali un “Position Paper” per sostenere le buone ragioni della produzione di gas mediante FORSU, la frazione organica dei rifiuti urbani. Ma la lettera accresce anziché diminuire la confusione. Non fornisce le informazioni utili a comprendere meglio la natura dell’impianto, ma suscita altri interrogativi e non aiuta chi vuole capirne di più.

Per la verità dubbi e interrogativi erano sorti fin dal giugno scorso fra i residenti, colti di sorpresa dalla notizia che già due mesi prima il progetto era stato mandato a Città Metropolitana e ai Comuni di Caluso, Chivasso, Mazzè e Rondissone.

Erano parecchi interrogativi, a cominciare dalla domanda: chi sono coloro che vogliono realizzare l’impianto e quelli che lo condurranno? Nelle carte del progetto il “proponente” risulta essere la “Caluso Biometano Società Agricola” di Bovolone (VR), costituita nel 2018 con 10.000 euro di capitale sociale di cui solo 2.500 versati. Però il progetto non sembra avere nulla di “agricolo”: si tratta di un impianto che trasforma in prevalenza la FORSU in biometano e lo vende sul mercato. È un impianto industriale, non un’azienda agricola che ricicla i propri rifiuti, anche se la legge consente forse di definire agricola tale società.

A sua volta, la “Caluso Biometano ecc.” appartiene per il 3% al Geo Studio Engineering dell’ingegner Beltrami, e per il 97% a MPN S.r.l. di Salizzole (VR). Cos’è MPN? Forse un’azienda agricola? No, è una società che ha “per oggetto principale l’assunzione di azioni, quote e partecipazioni in società”. L’amministratore unico è lo stesso Marco Beltrami. I soci sono Marco Beltrami per il 90%, Petra Beltrami per il 5% e Niccolò Beltrami 5%. La società è stata costituita tre anni fa e ha un capitale sociale di 10.000 euro di cui solo 2.500 versati.

I residenti si chiedono legittimamente: chi costruirà e gestirà l’impianto? Non lo sappiamo, perché Geo Studio fa progetti e li vende. Nelle carte del progetto compare un terzo soggetto, Andion Italia S.p.A. di Milano, filiale italiana di una multinazionale che opera nel campo dei rifiuti e delle energie rinnovabili. Sarà Andion a gestire l’impianto? Non lo sappiamo, perché nel progetto di Andion troviamo solo il logo e non ne viene specificato il ruolo: quindi Andion non ci comprende cosa c’entri. Andion costruisce impianti (trattano la FORSU quelli di Zinasco, Voghera, Como, Ferrania) ma non pare che li conduca in proprio.

Certo, tutto ciò, che a noi profani appare un rompicapo, è forse prassi comune nel mondo degli affari: tuttavia è comprensibile che i residenti si domandino con chi avranno a che fare quando e se l’impianto sarà in funzione. Ma sono tante altre le domande che i cittadini si sono posti, e che in parte si sono trasformate in quasi 70 pagine di dettagliate “osservazioni” al progetto mandate a Città Metropolitana.

Troppi errori, ingegner Beltrami…

Il Position Paper dell’ingegner Beltrami, dal quale siamo partiti, ci aiuta forse a rispondere a queste domande? No, non ci aiuta, anzi accresce il disorientamento. Contiene contraddizioni e errori. L’ingegner Beltrami scrive che l’impianto occuperebbe circa 10/12 addetti. Però il progetto che l’ingegnere ha sottoposto in aprile a Città Metropolitana prevede solo 6 addetti. Tanto che si era ironizzato sulla ingente ricaduta occupazionale nei quattro Comuni: ben 1,5 occupati per Comune.

Inoltre, Beltrami scrive che l’impianto sorgerebbe in una “ex area industriale… Nel 2012 l’attività è cessata, complice la grande crisi industriale, e di conseguenza il sito è rimasto fermo e inutilizzato fino a oggi”. Non è così. Fermo è rimasto fermo, quello sì: il sito non si è spostato altrove ed è sempre lì vicino al Boschetto e a La Mandria. Ma non è vero che non sia più stato utilizzato. Come ha osservato il comitato “Io mi rifiuto”, in una consistente porzione – 18.000 metri quadri su 38.000 totali – si svolge una attività di recupero di rifiuti non pericolosi autorizzata in maggio dal Comune di Caluso. È l’attività nota ai residenti come stoccaggio e lavorazione di traversine.   

E ancora: per Beltrami questa “ex” area industriale, cioè l’ex Edilias, avrebbe una superficie di 70.000 metri quadri.  Non è così. Anche questo numero è stato confutato dal comitato “Io mi rifiuto”, che ha dimostrato che lo stabilimento Edilias si estende sui soli 38.000 metri quadri che abbiamo appena menzionato. Di questa superficie l’impianto del biometano, di complessivi 36.000 metri quadri, occuperebbe solo circa un terzo, cioè 14.000 metri quadri: i restanti 22.000 metri quadri si trovano all’esterno dell’ex Edilias e sono composti da terreni agricoli produttivi che andrebbero persi. Un consumo di suolo agricolo che mal si concilia con l’’ispirazione green vantata dall’ingegnere.

Considerato che oggi l’Italia produce 7 milioni di tonnellate di FORSU all’anno, Beltrami afferma: “Con la raccolta differenziata in costante aumento risulta necessaria l’installazione di più impianti di biometano”. Forse, ma non qui. Nella provincia di Torino gli impianti esistenti potrebbero bastare. La nostra provincia produce 137.000 tonnellate all’anno di FORSU: ACEA di Pinerolo ne lavora 60.000 tonnellate all’anno ed è già autorizzata a salire a 90.000, e Cassagna di Pianezza sta ottenendo l’autorizzazione a passare da 40.000 a 60.000. I due stabilimenti bastano e avanzano. Se venissero costruiti i due impianti progettati nella nostra zona dall’ingegnere, quello di Caluso e quello di San Benigno, da 55.000 tonnellate l’uno, o se ne venisse realizzato anche uno solo, la FORSU della provincia non basterebbe ad alimentarli tutti quanti. Per farli lavorare a pieno regime verrebbe importata FORSU da fuori? Ma se ciò avvenisse, non violerebbe il “principio di prossimità” enunciato dall’Unione Europea e recepito nel Codice Ambiente italiano? Il principio di prossimità prescrive di smaltire i rifiuti il più vicino possibile al punto di produzione. Un simile sovradimensionamento degli impianti avverrebbe pure a livello di tutto il Piemonte (produzione 270.000 tonnellate annue) qualora fossero realizzati i tanti progetti che stanno arrivando sui tavoli delle Province piemontesi.

Ma perché questa alluvione di progetti proprio ora? Una risposta plausibile la troviamo in un dato che fornisce Beltrami quando auspica la costruzione di più impianti: “C’è però un vincolo temporale: la finestra degli incentivi si chiude nel 2022”.

E informazioni troppo vaghe

Alla fine del Position Paper l’ingegnere elenca “alcuni degli impianti di produzione già autorizzati e in corso di sviluppo dalla società”. E qui ci imbattiamo subito in un nuovo errore. Nei tredici impianti elencati troviamo anche l’impianto di San Benigno. Solo che quell’impianto non è ancora “già autorizzato”. Il progetto è tuttora in esame presso Città Metropolitana. Non è ancora nemmeno scaduto il termine di 60 giorni per la presentazione delle osservazioni da parte di cittadini e Comuni. Siamo ancora un po’ lontani dalla eventuale autorizzazione.

L’impianto di San Benigno sarebbe, secondo il Paper, “di proprietà Multiutility del Piemonte”. Cosa vuol dire? Il nome “Multiutility” indica una categoria di società, non una determinata società con sede in quella determinata città e progetto in quel determinato paese. Anzi, l’impianto di San Benigno non può essere di proprietà di nessuno perché semplicemente non esiste ancora. Caso mai è il progetto a essere di qualcuno. Allora perché non indicare ciò che sappiamo tutti. Il proponente è la “Canavese Green Energy Società Agricola srl” con sede a Torino, 10.000 euro di capitale di cui 2.500 versati. A sua volta questa società “agricola” è per il 99% del Geo Studio Engineering di Bovolone (VR) dello stesso Beltrami e per l’1% di MPN srl (pari a 100 euro di cui 25 euro versati) della famiglia Beltrami. Perché non scriverlo offrendo così un’informazione precisa?

Cinque impianti sono di una “Società di Investimento Italiana”: ma quale? Sei utilizzano la FORSU. Cinque invece usano “Sottoprodotti”: quali sottoprodotti?

Insomma, se un residente vuole sapere chi sono veramente i “proprietari” degli impianti – ammesso che siano già costruiti e non ancora in progetto – deve farsi una montagna di visure camerali e spendere un sacco di soldi. Teniamo conto che una visura per impianto può non bastare, perché la società della visura può essere di proprietà di altre società, e così via di visura in visura.

Caro ingegner Beltrami, è in questo modo che si informano i residenti per rassicurarli?

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