La gara con il Banchette, ultima casalinga della stagione, è stato l’epilogo perfetto per festeggiare in grande stile la promozione in Eccellenza e, soprattutto, l’addio al calcio di Cristian Viola, capitano e uomo simbolo del Settimo. In un “Levi” stracolmo di pubblico e commozione, la dirigenza e il gruppo ultras delle Brutte Facce hanno reso omaggio alla squadra di Telesca prima, durante e dopo la partita (terminata 2-2) con coreografie, fuochi d’artificio, taglio di torte e una passerella d’onore per Viola, al quale è stata consegnata una targa in ricordo della sua splendida carriera. «È stata un’emozione indescrivibile - commenta il capitano -. Mi aspettavo una festa, ma non così. Vedere tutta quella gente lì per la squadra e per me è stato impressionante e mi ha spiazzato. Una festa del genere è un sogno per ogni giocatore che conclude il proprio ciclo». Un ciclo, quello di Viola al Settimo, cominciato nel lontano 1997 quando, reduce dall’esperienza nella Primavera del Torino, Cristian si presentava al “Levi” dopo aver rotto con l’allenatore Claudio Sala. «Quando arrivai al campo per la prima volta dopo 3 anni di Primavera al Toro ero un ragazzino - ricorda Viola -, incontrai Lovera e il vicepresidente Arma i quali mi chiesero se avevo piacere di far parte di questa famiglia. Questo è per me il Settimo: una famiglia, e questa maglia da allora ce l’ho cucita addosso. Quando la si indossa cambia tutto e ho cercato di trasmetterlo ai miei compagni negli anni». Sedici anni di Settimo, di cui 10 da capitano. «Quando ero all’apice della mia carriera sono stato anche vicino alla Pro Settimo, ma non avrei realmente potuto... Qualche tempo dopo, invece, stavo firmando per il Bra ma poi ho preferito pensarci un giorno e ho cambiato idea, convinto anche da Lovera». Con un cognome così era forse destino che indossasse questi colori, lasciati solo in una parentesi di 4 anni e mezzo trascorsi tra Giaveno, Sciolze e Chisola. Fino al ritorno a casa. La sua seconda casa, nella quale è destinato a rimanere ancora a lungo nelle vesti di allenatore. «Ero già un allenatore in campo ed è lì che mi vedo in futuro: in panchina. Dopo aver guidato la Juniores sicuramente il mio sogno è di allenare il mio Settimo, ma non so quando accadrà. Non ho fretta e comunque ora c’è Telesca, a cui va gran parte del merito per questa stagione perché ha portato grande professionalità e impegno». Viola riavvolge velocemente il nastro della carriera, piena di ricordi e soddisfazioni personali ma anche con un piccolo rimpianto: «Facevo parte di una Primavera del Toro davvero forte ma avevo un carattere un po’ particolare in quel periodo. Peccato, perché molti dei miei compagni dell’epoca (Grauso, Semioli, Comotto, Pellissier, Triribocchi, solo per citarne alcuni, ndr) hanno sfondato tra i professionisti. Tra i ricordi più belli c’è la finale di Coppa Italia di Eccellenza, vinta con un gruppo straordinario su cui nessuno avrebbe scommesso, ma anche la finale nazionale playoff con il Palazzolo e la salvezza contro il Volpiano. E poi i derby con la Pro con 600 persone sugli spalti». Infine i ringraziamenti. «Devo ringraziare davvero tutti: la mia famiglia, il presidente Lovera, Ursillo e il ds Scaccia che stanno lavorando bene. Grazie anche alle Brutte Facce (che tifosi!) e a tutti i miei fantastici compagni. Ora pensiamo alla Coppa Italia e poi allo scudetto di categoria perché non siamo ancora sazi». Neanche uno sceneggiatore avrebbe potuto scrivere un finale così.
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