Si ricomincia a pieno ritmo per i commercianti di Brusasco dopo due mesi di lavoro interrotto, di assenza, di serrande abbassate. Ma a che prezzo? I danni sono stati incredibilmente alti sotto ogni punto di vista, economico soprattutto ma anche morale. La paura del virus sembra frenare il desiderio di normalità e di socialità. Si rinuncia a un gelato in compagnia nel solito bar, al caffè mattutino al bancone o all’abituale partita a carte nel posto di fiducia. “Ti ritrovi a non lavorare per quasi tre mesi, con gli affitti da pagare -racconta Elisabetta Vicario titolare del Vanity Bar -. Abbiamo chiuso il 12 marzo e abbiamo riaperto il 25 maggio. Ma procediamo molto a rilento. La gente ha paura di uscire, specialmente gli anziani. A febbraio? Temevo anch’io. Sentivo che il numero dei contagiati saliva e noi continuavamo a tenere aperto. Da una parte speravo ci facessero chiudere. Mi aspettavo una quindicina di giorni al massimo, mai avrei pensato a un tempo così lungo”.
L’affetto della clientela abituale però non è scemato “Molti mi chiamavano, mi chiedevano quando avremmo riaperto. Abbiamo sentito la loro vicinanza, loro la nostra mancanza”.
Gli affezionati rimangono e continuano a mostrare il loro affetto anche alla pizzeria “Frank Pizza” in via Martiri della Libertà, dove Stefania Scevola (titolare insieme al compagno Franco di Dio) racconta la sua fase due. “Non abbiamo mai chiuso, se l’avessimo fatto non avremmo mai saputo quando e se riaprire. Facevamo il servizio d’asporto, avevamo alcune richieste dalla nostra clientela fissa ma non bastavano. In un’attività ci sono tante spese, ma se non hai incassi non riesci ad andare avanti. Il nostro non è un ristorante, è un punto di ritrovo. Tanti dicono, venendo qua mi sento a casa. Molti, inoltre, apprezzano la pizza di Frank. Tutto ciò è molto gratificante”. Conferma anche la signora Tilde, un’habitué del locale, che con un sorriso dice: “La pizza di Frank è davvero buonissima”.
Roberta Vecchiuni, titolare della caffetteria Peccati di gola, racconta: “Dall’8 maggio abbiamo ricominciato con il servizio take-away. Facevamo qualche consegna ma nulla di sostanzioso. Per noi il servizio d’asporto non è significativo. La gente veniva qui per bere il solito caffè, per le proprie abitudini. Adesso la clientela si è dimezzata. La gente ha molta paura. Le spese ci sono e si sentono. Le cresime, le comunioni sono state tutte annullate. Soldi? Delle casse integrazioni nemmeno l’ombra e i 600 euro non bastano per mandare avanti un’attività. Per fortuna il locale è grande e abbiamo i tavoli fuori. A livello di spazi siamo attrezzati. Cosa resta? La speranza, senza la quale non avremmo mai riaperto”.
Alice Corio
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