L’unità dell’Europa è sradicata dalle diversità, dai suoi storici conflitti. Osserva le onde del Mare Adriatico Trasportare il messaggio di pace Comprensibile a tutte le Nazioni.[i]
Pier Carlo Boggio
Lissa oggi è abbastanza famosa oggi per i suoi vini, Plavac (rosso) e Vugava (bianco), per il suo mare cristallino, la natura incontaminata e alcune spiagge mozzafiato. Base militare della marina da guerra della ex Repubblica Jugoslava, è aperta ai turisti solo dal 1989. L’isola montuosa del Mar Adriatico con le scogliere in prevalenza a picco sul mare, è ricoperta da una foltissima vegetazione grazie al clima sub-tropicale di cui gode. E’ la più lontana delle isole dalla costa Dalmata (5 chilometri da Spalato) ed è anche tra le più grandi con i suoi 114 chilometri quadrati. La sua cima più alta, da cui di domina su tutta l’isola, è il Monte Hum alto 585 metri. Lissa, oggi Vis in Croato, era stata una base navale della Repubblica Veneta fino al 1797 per poi passare all’Austria. Oggi la maggiore attrattiva monumentale della cittadina principale è la fortezza veneziana del 1588 e le mura di epoca romana. Raggiungibile da Ancona con il traghetto in poche ore, dal 1811 al 1816 venne occupata dagli Inglesi che vennero attaccati il 22 ottobre 1810 con la vittoria della flotta Franco-veneziana che catturò molte navi e marinai della flotta inglese. L’anno successivo, il 13 marzo, ci fu un altro scontro tra navi inglesi e Franco-veneziane; Bernard Dubordieu (1773-1811), contrammiraglio della Marina da guerra francese, il vincitore della battaglia di Lissa del 22 ottobre 1810, ebbe al secondo tentativo la peggio: perdette 4 navi, molti marinai e la forza da sbarco, egli stesso cadde in battaglia. Occupata dagli Inglesi, eressero a difesa dei tre accessi (Porto San Giorgio, Porto Comisa e Manego) alcune opere fortificate che nel 1866 portavano ancora nomi inglesi. Dopo il congresso di Vienna gli Austriaci rinforzarono le preesistenti fortificazioni ed innalzarono semafori sui rilievi. Sul Monte Hum venne eretto un importante osservatorio. Le comunicazioni telegrafiche erano assicurate da un cavo sottomarino che raggiungeva Zara passando per le isole di Lesina e di Brazza. La baia d’accesso al porto di San Giorgio era difesa da 49 pezzi d’artiglieria di cui 18 rigati da 24 libbre, in un sistema difensivo che si appoggiava al forte S. Giorgio a 55 m s.l.m., alla Batteria Manula a 33 m. s.l.m.. alla Torre Robertson a 50 m. s.l.m., alla Torre Bentinck a 75 m. s.l.m., alla Batteria Zupparina a 28 m. s.l.m., alla Batteria Madonna a 13 m. s.l.m. nei pressi dell’abitato, alla Batteria Schimdt a 16 m. s.l.m. e alla Torre Wellington a 190 m. s.l.m. a chiudere l’emiciclo difensivo. L’insenatura di Comisa era difesa a nord dalla batteria Magnaremi a 170 m. s.l.m. armata con 4 cannoni rigati da 24 e 4 da 12 libbre. A sud la batteria Perlic, armata con 2 cannoncini da 6 libbre e alta 235 m. s.l.m.. Verso l’interno vi era il forte Maxfeste armato con 2 cannoni ad anima liscia da 24 libbre e due obici da 7 libbre e fiancheggiava la strada la strada tra Comisa e Lissa sbarrando il passaggio. Porto Manego era difeso dalla batteria di Nadpostranje (S. Vito per gli Italiani), alta 170 m.s.l.m. armata da 2 cannoni rigati da 12 libbre e 4 lisci da 24 libbre. La guarnigione Austrica disponeva ancora di 93 cannoni da posizione da 18 e 16 libbre ed era formata da 1200 uomini della Fanteria di Marina, da 600 dell’Artiglieria da costa e da una trentina di soldati del Genio. Circa 2000 uomini al comando del Colonnello Urs de Margina. La Terza Guerra d’indipendenza – come affermava un grande storico militare come Piero Pieri – non assomigliava per niente alle altre due precedenti, dove un piccolo e saldo esercito Piemontese si trovava di fronte all’Impero Austro-Ungarico e che per il rotto della cuffia, di volta in volta, si trovava rafforzato dai contingenti degli altri Stati italiani come nel 1849 o da volontari provenienti da tutta Italia, o ancora dai volontari di Giuseppe Garibaldi, oppure alleato del grande esercito Francese, come nel 1859. Con l’unificazione, l’esercito era passato da 5 a 20 divisioni incorporando eserciti peninsulari molto eterogenei e il problema più grande nella nuova guerra, fu il coordinamento tra gli ufficiali di stato maggiore, o meglio, una comune formazione che mancava totalmente. Stessa problematica affliggeva la regia Marina: l’amalgama di elementi Genovesi e Napoletani era una chimera anche se la regia Marina militare era nata il 17 novembre 1860, addirittura 4 mesi prima della proclamazione ufficiale del Regno d’Italia, segno dell’importanza data alla forza navale italiana nel Mediterraneo. Non ci soffermeremo pertanto ulteriormente sulle feroci polemiche che seguirono la sconfitta italiana a Lissa e la condotta dell’Ammiraglio Carlo Pellion di Persano (Vercelli, 1806 – Torino, 1883) che venne processato dall’Alta Corte di Giustizia, degradato ed espulso dalla regia Marina senza pensione. Diremo soltanto che la premura di colpire la Marina Austro-Ungarica in Adriatico, era diventata per il governo regio, un impellente emergenza: bisognava dimostrare all’alleato Prussiano e all’opinione pubblica internazionale la capacità offensiva italiana. Si sperava moltissimo in un successo in mare che controbilanciasse la clamorosa sconfitta italiana in terraferma di Custoza del 24 giugno 1866 e la vittoria degli alleati Prussiani a Sadowa il 3 luglio 1866. In generale, ci accontenteremo di dire che la III Guerra d’Indipendenza venne politicamente intrapresa con “il freno a mano tirato”: a partire dall’istruzione data da Napoleone III all’ambasciatore italiano Costantino Nigra a Parigi che diceva:
…durante la campagna potrebbe accadere che fosse utile che l’Italia non facesse guerra con troppo vigore, alle grandi rivalità tra Cialdini e La Marmora sulla terraferma che e alle profondissime lacerazioni che regnavano negli alti gradi della Marina: l’ammiraglio Giuseppe Vacca era profondamente detestato dai colleghi per aver venduto ai Piemontesi, durante l’impresa di Garibaldi in Sicilia, il più grande vascello della Marina da guerra Napoletana, il
Monarca, all’ancora a Castellamare di Stabia e il successivo rinnegamento dell’accordo traditore: infatti quando i Bersaglieri arrembarono la nave, non soltanto il Vacca non era a bordo, ma il Comandante in seconda, Guglielmo Acton, ignaro del complotto, fece ricacciare i Bersaglieri in mare. Il 27 giugno 1866, sette giorni dopo la dichiarazione formale di guerra, la Regia Marina non aveva alcun piano d’azione in Adriatico, e tantomeno nessun accordo o indicazione per supportare le azioni terrestri di La Marmora e Cialdini. Si era vagheggiato a livello parlamentare uno sbarco per occupare Venezia e prendere alle spalle le armate Austriache del Quadrilatero, come si era vagheggiato uno sbarco di “soldati irregolari” in Dalmazia per sollevare quelle popolazioni e nell’interno gli Ungheresi, che mal sopportavano il giogo austriaco. Proprio in quel giorno anzi, la flotta Austro-Ungarica si era presentata davanti ad Ancona, dove era ricoverata la flotta italiana, per ingaggiare battaglia, ma Persano non aveva accettato la sfida nella consapevolezza dell’impreparazione degli equipaggi. Piovvero dai politici i primi strali e anatemi. Pressato dal governo di Firenze, Persano ordinò una manovra in Adriatico centrale malgrado la generale penuria di carbone. L’addestramento alle manovre e alle artiglierie non avrebbe poi dato i risultati sperati anche per la cronica mancanza di personale di macchina addestrato. Dall’8 al 12 luglio le navi erano in manovra e il 13 la flotta rientrò ad Ancona. Il Ministro della Marina, Agostino Depretis arrivò personalmente per spingere il Persano all’ingaggio a qualunque costo. Da quell’animato Consiglio di guerra, riunione, di cui abbiamo testimonianza dalle ultime lettere del deputato piemontese Pier Carlo Boggio, amico di entrambi, ritrovate in mare dai marinai Austriaci, si venne a sapere che:
Depretis assalì Persano che venne difeso dal Boggio, per non aver inseguito Tegethoff e la sua flotta austriaca, e poi si adoperò (il Boggio)
per comporre il dissidio sorto fra i due uomini. Nel consiglio di guerra che si tenne il 14 luglio, lo Stato maggiore italiano intimò a Persano di far qualcosa, pena la destituzione. Persano decise di attaccare Lissa, un'isola dalmata con un discreto porto, difesa da parecchie batterie costiere. Il
15 luglio, il ministro
Depretis elaborò il piano di guerra: il bombardamento e l'invasione dell'isola di Lissa, base navale austriaca con l’ausilio della forza da sbarco dei Fanti Real Marina. Disciolto il Real Navi nel 1851, erano stati ricostituiti nel 1861 secondo la volontà di Cavour, unificando tutte le marinerie dei disciolti stati. I compiti assegnati furono molteplici e delicati, impegnati sia a terra, per la difesa e sorveglianza degli arsenali e di tutte le installazioni marittime, sia a bordo come compagnie da sbarco. L’addestramento derivava prevalentemente da quello dei bersaglieri e di questi vestivano l’uniforme con la sola differenza delle mostrine, del fregio sul cappello (l’ancora) e del cordone che aveva un colore diverso. Il
16 luglio, Persano lasciò Ancona con trentatré navi, di cui …. Corazzate. anche se l'atteso
Affondatore non era ancora arrivato. Attacco a Lissa La spedizione fu organizzata affrettatamente, mancavano quasi totalmente di informazioni, mappe o conoscenze della disposizione o consistenza delle difese di Lissa. Nessun apporto informativo era arrivato dagli ufficiali provenienti dalla marina veneta.Il
16 luglio la flotta Italiana lasciò il porto di Ancona e il capo di Stato Maggiore D'Amico venne autorizzato da Persano ad effettuare una ricognizione ravvicinata agli approdi di Lissa a bordo del
Messagere che si avvicinò alla costa battendo bandiera Inglese il 17 mattina; al tramonto si ricongiunse con il resto della flotta e distribuì uno schizzo approssimativo dei profili delle coste con le batterie individuate e le altezze stimate ad occhio. Ma il colonnello Urs – sospettoso - telegrafò subito a Vienna ma Tegheoff a Pola rimase fermo. Il resto dell’armata navale si era prima diretta verso Lussino per ingannare eventuali spie ad Ancona. In base alle informazioni raccolte si decise di attaccare con tre gruppi di navi i principali ancoraggi: Porto Comica (Komisa), Porto Manego (Milnu) e Porto San Giorgio (Vis). Vennero inviate a nord e a sud dell'isola, in funzione di vedetta, l'
Esploratore e la
Stella d'Italia. Era inoltre previsto da Persano, nell’ordine all’armata del 17 luglio, in caso di contrattacco dell’armata navale di Teghetoff che
L’Esploratore, scoprendo il nemico, farà subito il giro dell’isola di Lissa col segnale a riva, cominciando da Porto San Giorgio; in questo caso i due gruppi che battono Porto San Giorgio si metteranno in battaglia davanti avanti il Canale di Lissa, fuori tiro dalle batterie dell’isola. La flotta non corazzata si metterà in seconda linea a denti coi due gruppi suddetti Il gruppo di corazzate che batte Porto Comisa si terrà in riserva per chiudere la flotta nemica fra due fuochi.Verso le 11:30 del
18 luglio la parte principale della flotta iniziò l'attacco, dopo che da Monte Hum gli Austriaci avevano visto per tempo 22 navi da guerra avvicinarsi. Teghetoff, informato a Pola alle 11, aveva rinunciato ad uscire dal porto telegrafando a sua volta al Comando dell’armata sud, all’Arciduca Alberto, che riteneva la cosa una semplice diversione ingannevole. Quando arrivò la comunicazione dell’inizio del bombardamento, Teghetoff incerto sul da fare, chiedeva lumi all’Arciduca ancora alle 14,30. Il gruppo comandato dall’ammiraglio Vacca si presentò davanti a Comisa alle 11 con le corazzate
Carignano e
Castelfidardo per battere i cannoni di Magnaremi. L’
Ancona che doveva battere la postazione Perlic, rinunciò dopo pochi colpi al bombardamento per l’impossibilità di centrare efficacemente il bersaglio. Vacca sparò invece 116 colpi contro Magnaremi lamentando tre colpi senza danni particolari. Ma poi decise di abbandonare il bombardamento, ritenuto personalmente inutile, per raggiungere il viceammiraglio Albini a Porto Manego. Era iniziata una perversa catena di insubordinazione agli ordini di Persano che avrebbe portato fatalmente al disastro. Anche l’Albini aveva sospeso le operazioni del
Vittorio Emanuele e
Maria Adelaide contro la batteria di San Vito, ritenuta ad alta quota per ottenere tiri efficaci. Sopraggiunto il Vacca, l’Albini (che aveva sparato solamente 14 colpi) non volle il suo aiuto e non fu tentato altro tiro poiché venne deciso che le batterie austriache erano troppo alte e fuori portata. Vacca allora raggiunse Persano a Porto San Giorgio. Albini invece sospesa ogni operazione di bombardamento e sbarco con la forza di 1500 uomini e 8 cannoncini, mandò il
San Giovanni a richiedere istruzioni al Persano alle 7 di sera. Persano invece, al comando delle corazzate
Re d’Italia,
Formidabile, San Martino e
Palestro aveva iniziato il bombardamento di Porto San Giorgio alle 11,30 contro le fortificazioni di ponente. Il gruppo comandato dal capitano di vascello Riboty, composto dal
Re di Portogallo,
Maria Pia,
Terribile e
Varese bombardava le fortificazioni al levante dell’imboccatura del porto. Persano mandò quindi la corazzata
Formidabile al comando di Saint Bon proprio sotto il forte di San Giorgio. Abilmente, non potendo ancorare e manovrando continuamente le macchine, trovò un angolo morto per battere la fortificazione, infliggendo gravi danni. Il gruppo di Riboty alle 1,30 riuscì a colpire la santabarbara del forte Schimdt che saltò in aria. Alle 4 del pomeriggio la
Maria Pia colpì la santabarbara del forte di San Giorgio facendola esplodere riducendolo al silenzio. Poco prima delle 17 arrivarono le navi del Vacca che portarono il fuoco italiano alla massima intensità tanto che alle 17,30 la stessa Torre Wellington venne lesionata da una grossa breccia. Alle 18.00 venne messa fuori combattimento la batteria Mamula, mentre Zupparina e Madonna con i loro 12 cannonni ancora attivi continuavano il tiro. Persano decise di ritentare lo sbarco l’indomani e alle 18,00 diramò il cessate il fuoco. A mezzanotte arrivò la flottiglia Sandri di ritorno da Spalmadore, dove oltre alla bassisima velocità delle sue unità, riferì di non avere trovato il cavo. Quest’ultimo era invece a Lesina, che il Sandri raggiunse e tagliò solo dopo le 18, quando tutti i particolari dell’attacco erano arrivati a Vienna e a Pola. Inoltre, mentre Sandri si attardava a cena con il locale funzionario, gli austriaci avevano montato un telegrafo ottico sostitutivo. Alle prime luci del 19 luglio Persano richiamò la flotta che si era allontanata troppo dall’isola per rimanere nella posizione ideale per continuare l’atacco e vigilare sull’eventuale arrivo della flotta avversaria. Quindi mandò il Vacca e l’Albini a continuare il cannoneggiamento di Porto San Giorgio ridotto praticamente al silenzio. Verso mezzogiorno giunse nelle acque di Lissa
l’Affondatore, un ariete corazzato con torri girevoli molto atteso da Persano, e quindi le fregate
Principe Umberto (con un rinforzo di 125 Fanti di Marina che portava la forza da sbarco a 2500 unità),
Carlo Alberto e la corvetta a ruote
Governolo proveniente da Napoli. Venne rifornita di carbone la flottiglia Sandri e trasferiti i pochi feriti sulla nave ospedale
Washington. Persano decise lo sbarco a Porto Carober, ma le operazioni iniziarono soltanto al pomeriggio. Alle 16 Saint-Bon sulla
Formidabile si ripresentò sotto Porto San Giorgio e le batterie – ripristinate parzialmente nella notte dagli Austriaci – ripresero parzialmente il fuoco ma furono presto colpite dai tiri della
Formidabile. Non potendo manovrare circolarmente per scaricare alternativamente una bordata per lato, la nave, armata con 16 cannoni rigati da 160 mm. e 4 lisci da 200 mm. coraggiosamente ancorò a soli 400 metri dai cannoni austriaci. Nel duello durato un’ora e mezza, subì notevoli danni all’opera morta e agli uomini anche da parte della fucileria, mentre il
Re di Portogallo bombardava Torre Wellington incessantemente per impedirle di battere la
Formidabile. Vacca decise di supportare il tiro della
Formidabile entrando in linea di fila con il
Carignano, il
Castelfidardo e
l’Ancona ma la ristrettezza della baiafece operare una sola manovra di bordata. Gli Austriaci però risposero efficacemente colpendo ripetutamente
l’Ancona che ebbe quasi divelta una piastra di corazza e due affusti distrutti, inoltre si sviluppò un furioso incendio e si contarono in pochi minuti 6 morti e 19 feriti. La ritirata della squadra determinò un principio di rivolta sulla
Formidabile lasciata sola e senza istruzioni. Quando scoppiò un principio di incendio in coperta, Saint Bon decise di ritirarsi tra gli
hurrah della batteria Austriaca. Persano quindi ordinò lo sbarco all’Albini alle 19.00 a Porto Carober, ma quest’ultimo decise che il luogo non era idoneo e sospese le operazioni. Persano ridiede l’ordine e soltanto alle 20, tra la confusione dovuta all’impreparazione di una simile operazione, Albini inviò allora le truppe imbarcate sulle scialuppe e sulle unità della flottiglia Sandri verso la spiaggia ma a pochi metri vennero accolte da una nutrito fuoco di fucileria. Albini di fronte a questa ovvia resistenza, decise di sospendere nuovamente l’operazione. La giornata venne conclusa senza alcuna progressione nell’invasione dell’isola, anche se la difesa era stata compromessa dal cannoneggiamento italiano. La guarnigione Austriaca registrava 31 soldati e 2 ufficiali caduti e 73 feriti. I forti del coronamento difensivo risultavano tutti compromessi più o meno gravemente eccetto la batteria Madonna. Le perdite italiane registravano 16 marinai caduti e 4 ufficiali, 77 i marinai feriti. Ma il morale era basso per l’evidente superficiale condotta di Albini e Vacca. Nella notte venne inoltre a galla il problema delle scorte di carbone che iniziava a scarseggiare e la necessità di un generale per coordinare le previste operazioni terrrestri e l’eventualità di utilizzare l’isola di Lesina come base operativa. Vacca propose il rientro d Ancona per rifornirsi di carbone e riparare i danni alle navi, ma non fu ascoltato. Giunse in quei frangenti il piroscafo
Piemonte con altri 500 uomini della Fanteria di Marina al comando del colonnello Magnasco e il corpo di sbarco raggiunse i 3000 uomini. Lo sbarco era imminente e tutto fu predisposto per l’attacco finale a Lissa tra le 7 e le 8,30 del 20 luglio. Ma in quel momento dirigeva sulla flotta l’avviso
Esploratore lanciato a tutta forza con il segnale “Bastimenti sospetti in vista”. L’onorevole Boggio – che aveva contrastato l’idea del Vacca di rientrare ad Ancona - nell'ultima sua lettera a Depretis scriveva di essere stato il giorno 18 sul cassero della
Re d'ltalia, durante il combattimento coi forti di Lissa, dalle 11 del mattino alle 18.30 della sera:
…il vostro umile corrispondente … le ha, in buon piemontese, “tirate verdi”, con una pioggia di granate che facevano a un tempo la musica e il ballo. Ma i miei colleghi dal cassero hanno cantato il “dignus est entrare” e tanto basta. Ma singolare fu il presagio di quanto poi sarebbe avvenuto, in una precedente lettera del 14 luglio:
... temo che affonderemo gridando, si, evviva al Re ed alla Patria, ma l'Adriatico rimarrà nella padronanza dell'Austria Quando il governatore della Dalmazia il 19 mattina inviò due telegrammi al trentanovenne Contrammiraglio Wilhelm von
Tegetthoff sulla ripresa dei bombardamenti di Lissa, l’austriaco comprese che Lissa e non Venerzia o Pola, era il reale obbiettivo della flotta avversaria; riunì quindi i comandanti sulla ammiraglia
Erzherog Ferdinand Max. A mezzogiorno avuta l’autorizzazione di azione dal ministro, Teghetoff raggiunse la sua flotta già al largo e venne accolto dagli
hurrah alla voce dei suoi equipaggi e si diressero con rotta sud-est alla velocità di 6 nodi. L’ordine di battaglia imposto da Teghetoff prevedeva la penetrazione nella squadra italiana per il combattimento ravvicinato, concentrando il fuoco di più unità sulla stessa unità per la prima divisione corazzata. La II divisione dei bastimenti in legno, al comando del commodoro Petz, doveva portarsi sull’una o sull’altra ala nemica, la III divisione composta da cannoniere, al momento della mischia si sarebbe divisa in tre sottogruppi per sostenere la II divisione negli attacchi individuali. Teghetoff aveva puntato tutto sull’aggressività dei suoi comandanti e nel combattimento ravvicinato per compensare la sfavore balistico con gli Italiani. Verso sera il vento di sud-est rinforzò e fece gonfiare il mare e la squadra Austriaca dovette ridurre la velocità a 5,5 nodi. All’alba del 20 luglio il tempo era ancora peggiorato. Alle 7 del mattino del 20 luglio a trenta miglia a nord di Lissa, il
Kaiser Max in avanscoperta segnalava la presenza di navi a vapore. Teghetoff mandò avanti il
Prinz Eughen e lo
Stadium per perfezionare l’avvistamento. Ma improvvisi piovaschi non consentirono avvistamenti migliori. L’italiano
Esploratore comandato dal capitano di fregata Orengo, invece aveva avvistato le unità fin dalle 5,30 del mattino e alle 7.45 Persano era a conoscenza dell’arrivo della flotta nemica. Alle 9 del mattino ci fu un miglioramento netto e Teghetoff vide la flotta italiana di prora. Venne diramato il “posto di combattimento” e “serrate le distanze” e le tre divisioni procedettero a cuneo su te ordini. Le navi italiane, predisposte per lo sbarco, erano sparpagliate per circa 10 miglia lungo la costa nord-ovest di Lissa. Appena giunta la notizia, Persano diramò l’ordine di radunata. Albini sospese lo sbarco e dispose le sue navi in linea a 3000 metri di distanza dalla prima linea corazzata che si stava radunando con la prua a ovest-sud-ovest mentre si attendevano le corazzate impegnate a Porto Comisa. Albini, contravvenendo agli ordini, provvide personalmente a reimbarcare le forze da sbarco invece che lasciare il compito alla flottiglia Sandri, perdendo molto tempo. Persano compose la prima linea su 12 corazzate, ma mancavano all’appello il
Re di
Portogallo e il
Castelfidardo per avarie alla macchina, la
Formidabile che chiedeva di rientrare ad Ancona per i danni ai portelli di batteria, la
Varese e
Terribile in ritardo da Porto Comisa. Mancava totalmente la seconda linea dell’Albini. Il tempo migliorava ancora e Persano avanzò per sbarrare l’imboccatura di Porto San Giorgio agli avversari. La distanza tra le due flotte diminuì velocemente anche se mancavano ancora la
Varese e
l’Affondatore. Questa decisione di Persano di scontrarsi subito con il nemico determinò lo svantaggio italiano nel punto di battaglia. Infatti a fronteggiare la flotta Austrica si trovavano soltanto 8 corazzate su una linea di fila: il primo gruppo comandato dall’ammiraglio Vacca era composto da
Principe di Carignano,
Castelfidardo e
Ancona. Quello centrale, comandato da Persano, era composto da
Re d’Italia, Palestro, S.
Martino e
Affondatore fuori formazione e in coda il gruppo comandato del Capitano di Vascello Riboty composta dal Re di
Portogallo e
Maria Pia, la
Varese troppo lontana, avrebbe raggiunto il gruppo venti minuti dopo l’inizio dello scontro. Albini, troppo lontano, non avrebbe partecipato allo scontro. Persano decise in ultimo di trasbordare sull’
Affondatore ma pochi se ne accorsero per un problema di lettura del segnale dell’Ammiraglio. Il trasbordo – effettuato su una lancia a remi – provocò un ulteriore allontanamento del gruppo di Vacca creando un grande varco tra
Re d’Italia e
Ancona di circa 1.500 metri Alle 10,33 (10,45 per gli Austriaci) il
Principe di Carignano passando di prora al cuneo Austriaco aprì il fuoco subito imitato dalla
Castelfidardo e
Ancona. Era iniziata la prima battaglia tra corazzate della storia mondiale. A ingenerare ulteriori incertezze, subito si creò tra le navi impegnate allo scontro una densa cortina di fumo provocato dalle artiglierie e dalle ciminiere delle macchine a vapore. Fortunatamente le navi Italiane erano appena state dipinte tutte di grigio cenere, a differenza di quelle Austriache che erano dipinte di nero. Alla prima bordata italiana, gli Austriaci risposero debolmente per la scarsità dei pezzi utilizzabili nel settore prodiero. Un proiettile decapitò il comandante del
Drache von Moll. Teghetoffaveva fatto disporre le proprie corazzate in testa e il naviglio in legno dietro, assumendo formazioni a cuneo su tre ordini. Alla punta Teghetoff sulla
Ferinand Max seguito a sinistra dalla
Habsburg, dalla
Salamandre e dalla
Kaiser Max, alla destra la
Don Juan, la
Drache e la
Prinz Eugen, formavano il primo cuneo di navi corazzate. La seconda squadra (navi in legno) era comandata da von Petz e la terza (navi in legno) da Eberle. Quando Teghetoff s’avvide del varco, ordino di lasciare la formazione a cuneo e di seguirlo in fila e di buttarsi nella mischia anche se le sei corazzate riuscirono a riunirsi in una confusa doppia colonna e i tentativi di speronamento andarono tutti a vuoto. Si creò una situazione pericolosa perché il Vacca ora poteva attaccare la seconda squadra in legno staccata dalle corazzate, ma l’assenza di iniziativa e la mancanza di ordini del Persano fecero sfumare il vantaggio creatosi. Il gruppo di retroguardia Riboty venne minacciato dalla squadra Petz e per accostare in linea di fila a sinistra si staccò nettamente dal gruppo centrale del
Re d’Italia . Anche
l’Affondatore con il Persano a bordo andando avanti e indietro individualmente attaccava il
Kaiser abbandonando il gruppo centrale. Il gruppo Riboty appoggiato dall’
Affondatore attaccavano ora la squadra di Petz e il
Kaiser. La mischia era tremenda: le macchine a vapore consentivano movimenti repentini, arresti e inversioni di marcia, brusche accellerazioni per utilizzare lo sperone o per evitare lo speronamento. I bastimenti si inseguivano cercando di investirsi e scaricandosi addosso micidiali bordate dai cannoni ai revolver personali, talmente erano vicine le distanze. Un nuovo tipo di battaglia mai visto prima nella storia inimmaginabile per le vecchie concezioni della manovra a vela. Mentre Petz si disponeva in linea di fila con le sue sette unità in legno si trovò di fronte la retroguardia italiana di Riboty. Petz, a bordo del
Kaiser un grande vascello da 90 cannoni era seguito dalle sei fregate
Novara, Erzherog Friedrich, Radetzky,
Adria, Schwarzemberg e
Donau. Malgrado l’esperienza della Guerra di Secessione Americana, la maggioranza di navi in legno riuscì ad impegnare validamente una squadra di tre corazzate italiane:
L’Affondatore dopo aver cannoneggiato le altre unità si gettò sul
Kaiser per speronarlo e Petz con rapide accostate riuscì a scongiurare l’impatto. Ma i danni provocati dai 250 mm. dell’
Affondatore sono gravi. Nel frattempo il
Re di Portogallo a tutta macchina si scaglia contro il
Kaiser ma Petz accostando a sinistra minaccia di investire lui la corazzata italiana con la sua enorme mole. Abilmente Riboty e Petz manovrano per speronarsi ma entrambi evitano impatti letali a 90° ma i due bastimenti si investono comunque ad angolo acuto strisciando l’uno contro controbordo scaricandosi a bruciapelo tutti i pezzi delle batteri di sinistra. La polena del
Kaiser cade sul ponte del
Re di Portogallo, sartie e cordami del bompresso erano spezzati, il tagliamare contorto e strappato. L’albero di trinchetto era caduto sulla ciminiera schiacciandola sotto il peso della coffa provocando un vasto incendio in coperta. Una sezione della seconda batteria, poiché il vascello era a due ponti, era andata completamente distrutta, la caldaia era bassa di pressione per mancato tiraggio in ciminiera e quindi la macchina procedevaal minimo. Uscito malconcio dallo scontro il
Kaiser si trovava di prua
l’Affondatore che dirigeva a tutta forza per lo speronamento e Petz, su un’accostata sbagliata di Persano si salva e dirige precipitosamente a Porto San Giorgio per trovare rifugio senza che l’Albini nelle vicinanze con l’intera sua squadra, facesse nulla per finirlo. Nel frattempo nella squadra centrale la
Novara perde il suo comandante, Erik af Klint e manovra in ritardo ma arriva anch’essa a concentrare il fuoco con 4 corazzate Austriache sulla
Re d’Italia dove Teghetoff riteneva ci fosse Persano che aveva promesso pubblicamente di uccidere o catturare. La
Palestro, comandata dal Capitano di Fregata Cappellini accorre in aiuto al
Re d’Italia ma il calibro dei suoi cannoni poco può contro gli avversari anche perché viene seriamente impegnata dalla
Erzherog Ferdinand Max in un tentativo di speronamento che avviene di striscio nei settori poppieri spezzando l’albero di mezzana. La parte superiore dell’albero cade sul castello prodiero della corazzata nemica e un marinaio austriaco, Niccolò Carcovich, incurante della grandine di moschetteria italiana prende la bandiera italiana. La corazzata Italiana però uscendo dallo scontro si trova la
Drache che gli scarica un’intera bordata che provoca un incendio alla riserva di carbone accatastata negligentemente sul ponte che decreterà la fine della nave. Il
Re d’Italia rimasto solo contro 4 corazzate nemiche incassava una serie di colpi tremendi, ma il più grave fu il colpo sfortunato che distruggeva il comando del timone, situato – per errore di costruzione – troppo al di sopra della linea di galleggiamento. Il comandante, Faà di Bruno, blocca la macchina invece di speronare un’unità nemica che si presenta di prora. In quel momento si presentava alla sinistra la massa nera della
Erzherog Ferdinand Max dove si trovava Teghetoff che per meglio osservare impedito dal fumo, si arrampicava sulle sartie dell’albero di maestra. Il suo comandante di bandiera, barone Sterneck, comprende che la nave italiana è ingovernabile. Il Nocchiero, Vincenzo Vianello, da Pellestrina, detto “el Graton” (che sarà poi decorato con la medaglia d’oro al valor militare dall’Imperatore Francesco Giuseppe) sente Teghetoff urlare in veneto:
daghe dentro, Nino, che i butemo a fondi. Faà di Bruno, completamente circondato dalle corazzate
Ferdinand Max, Salamander, Don Juan e
Drache e temendo un arrembaggio, chiama sul ponte la forza all’arma bianca. Sterneck ordina le macchine avanti tutta e l’immediato controvapore dopo l’urto: procede con una massa di 4500 tonnellate a 90° contro il fianco sinistro del
Re d’Italia alla velocità di 11 nodi conficcando per quasi due metri lo sperone nel fianco della nave italiana all’altezza del locale macchina spezzando le piastre corazzate e il fasciame e le ordinate in ferro della struttura interna, provocando una falla di 15 metri quadrati per circa il 50% sotto la linea di galleggiamento; dapprima si inclina di 25° a dritta per raddrizzarsi appena la nave investitrice effettua il controvapore, poi imbarca migliaia di tonnellate d’acqua sbanda a sinistra, si capovolge e affonda in pochi minuti alle 11,30, dopo tre quarti d’ora di combattimento. Mentre la nave affondava, prima di capovolgersi, i cannoni sparavano sfiorando l’acqua che saliva inesorabilmente. I Fanti di marina appesi al sartiame continuavano a sparare con i loro moschetti. Ma la
Re d’Italia colò rapidamente a picco, dislocava 5.700 tonnellate, era in legno con piastre metalliche che la ricoprivano e armata con moderni cannoni rigati sui fianchi, in batteria. La sua elica era propulsa da una motrice alternativa alimentata da sei caldaie tubolari. La Regia Fregata Corazzata di I rango ad elica era stata costruita a New York dai cantieri Webb insieme alla sua gemella
Re di Portogallo. Dei 550 uomini e 25 ufficiali se ne salvarono 167. Mentre la nave affondava, dalle navi Austriache si levò un solo grido inneggiante a San Marco. Anche il deputato piemontese Pier Carlo Boggio perì nella battaglia: Andrea Di Santo, sottocapo di stato maggiore di Persano e superstite della fregata affondata, lo vide nitidamente che faceva fuoco con il suo revolver della guardia Nazionale sempre tenendo l’occhialino. Una volta in acqua, quando stava per annegare venne raggiunto da Alfredo Bosano, Tenente di vascello che gli gridava – Vengo a salvarla, si regga…- Ma i due, andarono a fondo avvinghiati insieme. Soltanto nel 1915 vennero introdotti i gavitelli individuali modello “Carley”. Il Guardiamarina Razzetto avendo visto la bandiera di poppa che stava per essere ammainata, corse a rialzarla e rimase con il revolver al suo posto a guardia della bandiera fino a che la nave non si capovolse nei flutti. Correva per cercare di dare aiuto
l’Ancona ma per la scarsissima visibilità andò a cozzare lateralmente con la
Varese del gruppo Riboty. Con l’affondamento del Re d’Italia lo scontro di Lissa finì, con la
Palestro in fiamme che riusciva a vincere l’assedio austriaco riparando con una rotta nord. La
San Martino, rimasta lontana dalle corazzate prodiere combatteva da sola contro due corazzate nemiche e il comandante Roberti riscì a scaricare entambe le batterie delle due fiancate manovrando ad “occhiale” inserendosi audacemente tra le due unità avversarie e riuscendo a svincolarsi e a dirigere verso il gruppo Vacca. Il
Re di Portogallo e la
Maria Pia si sganciarono dall’attacco della divisione Petz. La
Maria Pia impegnata a fondo dal
Prinz Eugen, Salamander e Don Juan, diresse a tutta forza controla prima, scaricando a bruciapelo bordate e un formidabile tiro di fucileria dal ponte e dall’alberatura. In quell’istante i comandanti Del Carretto e Barry, ritti ambedue al ponte di comando, si tolsero cavallerescamente il berretto, secondo la nobile tradizione cavalleresca. Persano e Teghetoff si preoccuparono di riunire le flotte, pronte per un nuovo scontro nel pomeriggio che non avvenne, malgrado Persano inoltrasse l’ordine “la squadra dia caccia con libertà di manovra” e la diffida: “Il comandante previene che ogni bastimento che non combatte non è al suo posto; quindi tutti i comandanti devono aver di mira di entrare in azione, se loro non viene altrimenti ordinato”. Ma l’indisciplina nello Stato Maggiore della Marina impedi ogni ulteriore iniziativa. La
Palestro è in fiamme e il
Governolo la prende al traino ma il cavo si spezza. Viene allungato un secondo cavo, ma in quel momento la santabarbara della nave in fiamme esplode. Rottami dello scafo vengono lanciati in tutte le direzioni e a grande distanza; il comandante, gli ufficiali e gran parte dell’equipaggio vanno perduti. Soltanto un Guardiamarina e 25 marinai che erano a prua al maneggio del cavo di traino sopravivvono alle 14,45. Il mancato abbandono della nave era dovuto alla convinzione di domare l’incendio e di poter partecipare alla scontata ripresa dello scontro nel pomeriggio. Perirono 11 ufficiali e 193 uomini tra sottufficiali, marinai e soldati. Alle 15 le flotte si scrutavano senza intenzione di procedere nel combattimento e alle 18 Persano, vista la penuria di carbone e munizioni da guerra, diramò l’ordine di far rotta verso Ancona, dopo che la flotta Austriaca si era rifugiata a Porto San Giorgio. La maggior partecipazione numerica delle navi austriache allo scontro è confermata dal confronto delle perdite e dei colpi sparati: la Marina italiana 620 morti e 40 feriti. Ma 612 furono quelli periti nell’affondamento del
Re d’Italia e dall’esplosione della
Palestro, avvenuto nel pomeriggio. Le perdite effettiva in combattimento furono di 8 morti e 40 feriti. Gli Austriaci lamentarono 38 morti e 138 feriti. Il solo
Kaiser ebbe 24 morti e 75 feriti. La squadra di Teghetoff aveva 534 cannoni e sparò 4552 proiettili e tutte le unità presero parte al combattimento. Delle navi di Persano solo dieci corazzate presero parte al combattimento e spararono 1452 colpi. Secondo la relazione austriaca, le navi furono colpite 414 volte dai colpi italiani e questi colpi vennero ricevuti da quasi tutte le unità Austriache ad eccezione della Radetzky e qualche cannoniera minore. Il
Kaiser venne colpito dagli artiglieri italiani 80 volte. Non si conosce il numero dei colpi ricevuti dagli austriaci alle unità italiane. Certamente furono più precisi o più fortunati, come il colpo che immobilizzò il timone del
Re d’Italia e come il colpo che centrò il carbone della
Palestro.
Ordine di battaglia
- 1a Divisione - Navi corazzate - Ammiraglio Wilhelm Von Tegetthoff
- Erzherzog Ferdinand Max (ammiraglia di flotta, pirofregata corazzata di 2a classe, 5.130 t, 16 pezzi da 48 libbre a canna liscia, 4 pezzi da 8 libbre a canna liscia, 2 pezzi da 3 libbre a canna liscisa, cintura corazzata di 101 mm sulle batterie, 12,5 nodi)
- Habsburg (stesse caratteristiche della Erzherzog Ferdinand Max)
- Kaiser Max (corvetta corazzata, 3.588 t, 16 pezzi da 48 libbre a canna liscia, 1 pezzo da 12 libbre a canna liscia, 1 pezzo da 6 libbre a canna liscia, 15 pezzi da 24 libbre ML rifles. 4.3in wrought iron belt, 11 nodi)
- Don Juan d'Austria (stesse caratteristiche della Kaiser Max)
- Prinz Eugen (stesse caratteristiche della Kaiser Max)
- Drache (corvetta corazzata, 2.750 t, 10 pezzi da 48 libbre a canna liscia, 18 pezzi da 24 libbre a canna liscia, 1 pezzo da 8 libbre a canna liscia, 1 pezzo da 4 libbre a canna liscia. cintura corazzata in ferro di 100 mm., 11 nodi)
- Salamander (stesse caratteristiche della Drache)
- 2a Divisione - Navi a vapore in legno - capitano di vascello Petz
- Kaiser (ammiraglia di squadrone, nave di linea a elica a due ponti, 5.811 t, 2 pezzi da 24 libbre a canna rigata ad avancarica, 16 pezzi da 40 libbre a canna liscia, 74 pezzi da 30 libbre a canna liscia, priva di corazza, 11,5 nodi)
- Novara (fregata a elica, 2.615 t, 4 pezzi da 60 libbre, 28 pezzi da 30 libbre a canna liscia, 2 pezzi da 24 libbre a canna rigata a retrocarica, 12 nodi)
- Schwarzenburg (fregata a elica, 2.614 t, 6 pezzi Paixhans da 60 libbre, 40 pezzi da 30 libbre a canna liscia, 4 pezzi da 24 libbre a canna rigata, 11 nodi)
- Radetzky (fregata a elica, 2.234 t, 6 pezzi Paixhans da 60 libbre, 40 pezzi da 24 libbre a canna liscia, 4 pezzi da 24 libbre a canna rigata a retrocarica, 9 nodi)
- Donau (stesse caratteristiche della Radetzky)
- Adria (stesse caratteristiche della Radetzky)
- Erzherzog Friedrich (corvetta a elica, 1.697t, 4 pezzi Paixhans da 60 libbre, 16 pezzi da 30 libbre a canna liscia, 2 pezzi da 24 libbre a canna rigata a retrocarica, c. 8,5 nodi)
- 3a Divisione - Naviglio minore - capitano di fregata Eberle
- Narenta (cannoniera a elica, 2 pezzi da 48 libbre a canna liscia, 2 pezzi da 24 libbre a canna rigata a retrocarica)
- Kerka (stesse caratteristiche della Narenta)
- Hum (cannoniera di 2a classe, 2 pezzi da 48 libbre a canna liscia, 2 pezzi da 24 libbre a canna rigata a retrocarica, 11? nodi)
- Vellebich (stesse caratteristiche della Hum)
- Dalmat (stesse caratteristiche della Hum)
- Seehund (cannoniera di 2a classe, 2 pezzi da 48 libbre a canna liscia, 2 pezzi da 24 libbre a canna rigata a retrocarica, 11 nodi)
- Wall (stesse caratteristiche della Seehund)
- Streiter (stesse caratteristiche della Seehund)
- Reka (stesse caratteristiche della Seehund)
- Andreas Hofer (rimorchio a elica, 3 pezzi da 30 libbre a canna liscia)
- Kaiserin Elizabeth (yacth a pale, 4 pezzi da 12 libbre a canna liscia)
- Greif (yacth a pale, 2 pezzi da 12 libbre a canna liscia )
- Stadion (vapore disarmato. Utilizzato come esploratore)
Regno d'Italia
- Squadra di Battaglia - Navi corazzate - Ammiraglio Carlo Pellion di Persano
o
- Affondatore (Ammiraglia di flotta, ariete corazzato a torri di primo rango, costruzione britannnica, 4.376 t, 2 pezzi da 9"/14 100 libbre Somerset a canna lisciaS, cintura corazzata e sulle torrette in ferro di 127 mm, 12 nodi)
- 1a Divisione Contrammiraglio Giuseppe Vacca
- Principe di Carignano (Fregata corazzata di primo rango a elica, 3.446 t, 10 pezzi da 72 libbre a canna liscia - proiettili da 8", 12 pezzi da 164 mm a canna rigata a retrocarica, corazza di 220 mm, 10 nodi)
- Castelfidardo (stesse caratteristiche della Regina Maria Pia)
- Ancona (stesse caratteristiche della Regina Maria Pia)
- 2a Divisione Emilio Faà di Bruno
- Re d'Italia (Ammiraglia di squadrone, fregata corazzata di primo rango a elica, costruzione americana, 5.610 t, 6 pezzi da 200mm 72 libbre a canna liscia, 32 pezzi da 164 mm a canna rigata a retrocarica, cintura corazzata di 120 mm, 10,5 nodi)
- Palestro (Fregata corazzata ad elica, c. 2.000 t, 2 pezzi da 200 mm ad avancarica a canna rigata, 12 pezzi da 160 mm, corazza di 100 mm)
- San Martino (stesse caratteristiche della Regina Maria Pia)
- 3a Divisione Capitano di vascello Augusto Riboty
o
- Re di Portogallo (stesse caratteristiche della Re d'Italia eccetto i pezzi da 164 mm canna rigata a retrocarica sono 26)
- Regina Maria Pia (pirofregata corazzata di 2° rango, costruzione francese, 4.201 t, 4 pezzi da 72 libbre a canna liscia, 22 pezzi da 164mm a canna rigata a retrocarica, corazzattura di 120 mm, 12-13 nodi)
- Varese (stesse caratteristiche della Palestro)
- Formidabile (Pirocorvetta corazzata di costruzione francese, 2.682 t, 4 pezzi da 72 libbre a canna liscia, 16 da 164 mm a canna rigata a retrocarica, corazza di 115 mm, 10 nodi)
- Terrible (stesse caratteristiche della Formidabile)
- 2a Squadra - Navi a vapore in legno - Contrammiraglio Giovanni Battista Albini
- Gaeta (Fregata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno delle Due Sicilie, 3.917 t, 8 pezzi da 160 mm a canna rigata ad avancarica, 12 pezzi da 108 libbre, 34 pezzi da 72 libbre)
- Maria Adelaide (Fregata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno di Sardegna, 3.429 t, 10 pezzi da 160 mm a canna rigata ad avancarica, 22 pezzi da 108 libbre, 19 cannoncini) (ammiraglia di squadrone)
- Duca di Genova (Fregata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno di Sardegna, 3.459 t, 8 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 10 pezzi da 108 libbre, 32 pezzi da 72 libbre)
- Garibaldi (Fregata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno delle Due Sicilie, 3390 t, 8 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 12 pezzi da 108 libbre, 34 pezzi da 72 libbre)
- Principe Umberto (Fregata corazzata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno di Sardegna, 3.446t, 8 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 10 pezzi da 108 libbre, 32 pezzi da 72 libbre, 4 cannoncini)
- Carlo Alberto (Fregata corazzata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno di Sardegna, 3.231t, 8 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 10 pezzi da 108 libbre, 32 pezzi da 72 libbre, 7 cannoncini)
- Vittorio Emanuele ((Fregata corazzata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno di Sardegna, 3.201 t, 8 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 10 pezzi da 108 libbre, 32 pezzi da 72 libbre, 7 cannoncini)
- San Giovanni ((Fregata corazzata di 1° rango a elica, appartenuta al Regno di Sardegna, 1.752 t, 8 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 14 pezzi da 72 libbre, 12 cannoncini)
- Governolo (Pirofregata di II rango a ruote, appartenuta al Regno di Sardegna, 2.243t, 10 pezzi da 108 libbre, 32 pezzi da 72 libbre, 2 cannoncini)
- Guiscardo (Pirofregata di II rango a ruote, appartenuta al Regno delle Due Sicilie, 1.343t, 2 pezzi da 160mm a canna rigata ad avancarica, 4 pezzzi da 72 libbre)
- Naviglio minore
- Giglio (corvetta appartenuta al Granducato di Toscana, 2 pezzi a canna liscia di dimensioni sconosciute)
- Cristoforo Colombo (cannoniera, 4 pezzi da 30 libbre a canna liscia)
- Gottemolo (stesse caratteristiche della Cristoforo Colombo)
- -- sconosciuta-- (stesse caratteristiche della Cristoforo Colombo)
- Esploratore (avviso a ruote di prima classe, 2 pezzi da 30 libbre a canna liscia)
- Messaggere (avviso a ruote di prima classe, 2 pezzi da 30 libbre a canna liscia)
- Indepenza (mercantile disarmato)
- Piemonte (mercantile disarmato)
- Flavio Gioja (mercantile disarmato)
- Stella d'Italia (mercantile disarmato)
[i] (Cimitero dell’Isola di Vis: iscrizione sul monumento del Leone dormiente, trad. dell’autore)