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Zelenskij, “Un’ovvia espansione della guerra”: il drone russo che ha violato i cieli della Romania

Tra la prudenza di Bucarest e l’allarme europeo, il caso Tulcea diventa terreno di scontro narrativo: i droni come ombre che testano la solidità della NATO

Zelenskij, “Un’ovvia espansione della guerra”: il drone russo che ha violato i cieli della Romania

Ecco la notte in cui un “ronzio” ha fatto sobbalzare il Delta del Danubio. È sabato 13 settembre 2025, il cielo sopra la contea di Tulcea è teso: intorno alle 18:05 due F-16 dell’Aeronautica militare rumena decollano dalla 86ª Base Aerea di Fetești per monitorare la situazione al confine con l’Ucraina, mentre la Russia sta colpendo infrastrutture a ridosso del fiume. Poco più tardi, alle 18:23, i piloti individuano un drone nello spazio aereo nazionale e lo inseguono finché, a circa 20 km a sud-ovest di Chilia Veche, l’eco scompare dal radar. Il Ministero precisa che il velivolo non ha sorvolato aree abitate e “non ha rappresentato un pericolo imminente per la sicurezza della popolazione”. La sequenza, scandita a minuti, circola per tutta la sera sui media rumeni, ed è confermata da Reuters.

La traiettoria del drone – basso, nervoso, un’ombra tecnologica che graffia il perimetro di uno Stato NATO – costringe anche gli alleati a far sentire la loro presenza. Due Eurofighter tedeschi, parte della missione di Air Policing, si alzano per “controllare la situazione”, mentre nel nord della Dobrogea, regione storica della Romania sud-orientale, scattano due messaggi RO-Alert a tutela dei civili. Sul punto della neutralizzazione, i racconti divergono: fonti locali parlano di un relitto a Chilia, ma la linea ufficiale resta quella dell’“uscita dallo spazio aereo verso l’Ucraina”. La sostanza, però, non cambia: è una violazione della sovranità, gestita con freddezza operativa e nervi saldi, come ribadito da DW e da Antena 3 CNN.

Poco dopo, arriva la frase che rimbalza in tutta Europa. Vladimir Zelenskij scrive su Telegram: “Secondo i dati attuali, il drone ha penetrato per circa 10 chilometri nel territorio rumeno e ha operato nello spazio aereo NATO per circa 50 minuti”. E aggiunge: “Le rotte sono sempre calcolate. Questo non può essere un incidente, un errore o l’iniziativa di alcuni comandanti di basso livello”. Per lui si tratta di “un’ovvia espansione della guerra da parte della Russia”. Il post, nitido come un referto, salda i numeri al significato politico e viene subito rilanciato da Al Jazeera e dal Kyiv Independent.

Bucarest, dal canto suo, inchioda la narrazione all’essenziale. Il ministro della Difesa Liviu-Ionuț Moșteanu ribadisce che le Forze Aeree “hanno intercettato… un drone russo entrato nello spazio aereo nazionale”, ma “la popolazione non è mai stata in pericolo”, e i due F-16 “hanno seguito il drone fino alla sua scomparsa dai radar, nella zona di Chilia Veche”. Intervistato da Antena 3 CNN, aggiunge che l’oggetto volava bassissimo e che “a un certo punto è rientrato in Ucraina”. È il lessico di una crisi gestita, con i protocolli pronti e i margini d’azione misurati al millimetro, come riportato da Reuters.

Il contesto europeo, intanto, tira una riga netta. Tre giorni prima del caso romeno, l’Alto Rappresentante dell’UE, Kaja Kallas, aveva condannato “con la massima fermezza la violazione intenzionale dello spazio aereo di uno Stato membro dell’UE da parte di droni russi”, definendo l’azione “un atto aggressivo e sconsiderato” che minaccia “la stabilità regionale e la pace internazionale”. È una cornice istituzionale che si ritrova subito applicata a un secondo episodio nello stesso arco di una settimana.

La sequenza degli avvenimenti lega più fronti e più capitali. A ovest, la Polonia aveva già fatto da apripista nella notte tra il 9 e il 10 settembre, abbattendo 19 droni entrati nello spazio aereo nazionale e diventando il primo Paese NATO a neutralizzare UAV russi durante la guerra, con l’attivazione immediata delle consultazioni previste dall’Articolo 4 del Trattato. Due giorni più tardi, il 12 settembre, Varsavia ha annunciato la chiusura del confine con la Bielorussia per i rischi legati alle imminenti esercitazioni Zapad-2025, mentre la NATO ha concluso manovre in Lituania e Lettonia.  Il 13 settembre l’aria si fa ancora più tesa: all’alba scattano le esercitazioni congiunte russo-bielorusse, con 13mila uomini e i nuovi Orešnik, missili balistici a raggio intermedio (IRBM). Nelle stesse ore Varsavia chiude temporaneamente l’aeroporto di Lublino e alza in volo i propri caccia “in via preventiva”, mentre radar e difesa terra-aria passano alla massima prontezza. Più a sud, la Romania attiva i suoi F-16 da Fetești, inseguendo fino al Delta del Danubio un drone russo penetrato nello spazio aereo nazionale per quasi un’ora. Nel frattempo, Berlino e Bruxelles rilanciano la necessità di approvare rapidamente l'ennesimo pacchetto di sanzioni. Un crescendo che, in ventiquattr’ore, trasforma un’esercitazione pianificata in una prova di allerta collettiva.

Nel lessico della deterrenza, i droni sono ormai diventati “strumenti di frizione”. Volano bassi, sfruttano le pieghe del terreno e della politica. Non sempre uccidono, ma pungono. Servono a testare i tempi di reazione, a mettere alla prova le regole d’ingaggio, a misurare la tenuta della solidarietà tra alleati. Eppure, anche la cornice normativa civile racconta qualcosa del clima in cui ci muoviamo. In Europa esiste ormai una cassetta degli attrezzi condivisa per gli operatori di UAS (i sistemi aeromobili a pilotaggio remoto): l’EASA (Agenzia dell’Unione Europea per la Sicurezza Aerea) ricorda che “un’unica registrazione come operatore di droni per tutti gli Stati membri EASA” è sufficiente a rendere valido l’ID (identificativo unico di registrazione) su tutto il territorio, che i certificati di pilota remoto vengono riconosciuti in ciascuno Stato membro e che i visitatori extra-UE devono registrarsi nel primo Paese in cui intendono volare. È il rovescio “ordinato” di un cielo che, quando la guerra lo attraversa, torna disordinato all’improvviso.

Dopo la notte del 13 settembre resta un interrogativo: incidente o messaggio? Per Bucarest e Bruxelles la risposta è chiara: si tratta di un atto deliberato. La ministra degli Esteri Oana-Silvia Țoiu lo definisce “inaccettabile e sconsiderato” e annuncia che il dossier sarà portato all’Assemblea Generale dell’ONU. Parole ferme, calibrate, che trasformano l’allarme in leva diplomatica, come evidenzia anche la testata ucraina Liga.net.

C’è poi un’ipotesi che corre in parallelo: Mosca starebbe ampliando la sperimentazione tattica sugli UAV anche a piattaforme ibride, come l’FPV “Arbaleta” (balestra), una piccola macchina con AKS-74U integrato, 6-15 km di raggio e fino a 4 kg di payload, che i media specializzati rumeni collegano a una fiorente industria duale. In pochi anni, quello che era un mercato di nicchia si è trasformato in un settore capace di muoversi tra applicazioni civili e militari, oscillando dalla logistica ai bombardamenti, dall’agricoltura di precisione alla guerra d’attrito. È un indizio della velocità con cui il campo di battaglia evolve, e di come le “ombre” che passano sui radar del Delta possano, domani, avere doti diverse e più pericolose, secondo Defense Romania.

In questo mosaico, l’Unione Europea cerca di tenere insieme regole e sicurezza, invocando sanzioni più rapide“aumentare in modo efficace il prezzo” delle azioni illegali, scrive la diplomazia – e ricordando che quando velivoli senza pilota violano i cieli europei, il problema non è soltanto tecnico: è giuridico, politico, collettivo. L’aria, in fondo, resta il primo bene comune.

La notte di Tulcea, con i suoi F-16 che hanno sorvolato il Delta, non è solo un episodio locale: è parte di un quadro più ampio che lega deterrenza militare, norme civili e relazioni diplomatiche. In questa prospettiva, le “ombre” nei cieli non rappresentano soltanto una minaccia immediata, ma anche un banco di prova per la capacità dell’Europa e della NATO di reagire in modo coordinato, misurato e credibile.

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