Gavè! In piemontese a volte sentiamo il modo di dire “Gavé (quaidun) da l'umid”, letteralmente togliere qualcuno dall'umido. Questo modo di dire vuole significare riportare qualcuno, con maniere decise, nella giusta direzione, togliendogli i grilli dalla testa, ma anche togliere dai pasticci con o senza il consenso dell'interessato. Il modo di dire nasce forse dal fatto che quando una persona cadeva in acqua veniva soccorsa anche senza la richiesta esplicita dell’interessato. Ma si usa gavè, togliere, anche con il modo di dire, gavte la nata, togliti il tappo ma con il vero significato di fatti furbo. In piemontese si tratta di una metafora . Se il verbo è in prima persona, stiamo dicendo una cosa bella e positiva; se, invece, il verbo è coniugato alla seconda, soprattutto imperativo, o alla terza persona stiamo criticando qualcuno, quindi si tratta di una cosa negativa. Se diciamo mi me gavo la nata, quando la frase è coniugata in prima persona, tendenzialmente indicativo, significa “mi tolgo uno sfizio”, il tappo qui intende un desiderio che tenevo intrappolato dentro di me, e mi libero magari da una piccola ossessione che avevo per quella cosa. A me fa pensare anche all’otre dei venti ricevuta da Ulisse da Eolo. Quella però non doveva essere stappata. E dei letali effetti di quel tappo malauguratamente liberato, ne seppero qualcosa i marinai del grande e astuto eroe greco. Una volta almeno nella vita, però, ogni piemontese, ben più attento e cauto degli sprovveduti soldati di Ulisse, trova il momento di “gavesse la nata”, cioè di soddisfare quel desiderio che ha sempre inseguito, ma di cui – essendo previdente di natura, parsimonioso e lungimirante – ha sempre pensato di rinviarne la concretizzazione. Fino al momento in cui prende la decisione fatale. E allora, a quel punto, non lo ferma più nessuno. Se invece mi dico gavte la nata, come scrivevo prima significa fatti furbo o scendi dal piedistallo, per ossigenare il cervello. Poi per togliere il tappo dalla bottiglia usiamo il gavanate, e qui ritorniamo al gavesse la nata, con il con il gesto rituale con cui l’oste o il festeggiato, con il tirabosson, estrae il tappo di una bota stopa per dividerne il contenuto con gli amici; oppure (in questo caso senza tirabosson) richiama il gesto con cui si libera il collo di una bottiglia di spumante dall’involucro di protezione (la cosiddetta capsula), e si allenta (svitandola lentamente) la gabbietta di sicurezza di metallo che ne impediva la fuoruscita indesiderata, per far volare al soffitto come un razzo il tappo di sughero. Spero di non avervi tediato con “Grane dij poj, letteralmente grane di pidocchi, questioni di poco conto. Beh la bottiglia è aperta, il vino versato nel bicchiere allora a tutti un “Bon pro” e “Cin cin” benaugural alla prossima. Favria, 24.10.2022 Giorgio Cortese Buona giornata. Nella vita per essere felici non abbiamo bisogno di grandi cose, ma pezzi di tenerezza raccolti qua e là. Felice lunedì
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