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La pagina bianca, l’inizio dell’avventura.

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La pagina bianca, l’inizio dell’avventura. Ci siamo mai domandati cos’è la pagina bianca? Una pagina intonsa che aspetta di essere scritta con parole che trasmettono le nostre emozioni. La pagina bianca da sempre è un’iniziale contemplazione della purezza che, nello stesso istante, innesca il desiderio di profanarla per lasciare traccia del nostro umano passaggio? Questo dipende da noi nel disporre dei simboli, le nostre parole per trasmettere cosa vogliamo fare leggere agli altri, poi se non lo facciamo immediatamente, o se non riusciremo mai a farlo, non è paura nello scrivere, ma mettere nero su bianco i nostri pensieri, sia su un foglio di carta che su di uno schermo di un computer, per iniziare l’avventura, come adesso. Iniziare a scrivere significa proprio oltrepassare la soglia del foglio bianco, incidere sulla carta, perché scrivere deriva dal latino scribere, che etimologicamente vuole dire incidere, lasciare impressi i segni. Possiamo quindi immaginare l’atto dello scrivere come un atto scultoreo: il legno, la roccia, il marmo, rendono meglio la fatica di questa scrittura iniziale e, di conseguenza, l’attenta valutazione di cosa incidere. Noi scriviamo su un foglio bianco. Il bianco è un colore superiore perché assomma tutti i colori, mentre noi, che scriviamo, almeno io scribacchio solo, siamo solo quello scuro, una macchia di simboli che infrangono il colore immacolato. Quando iniziamo a scribacchiare, assaporiamo il gusto di sporcare il foglio bianco, il riuscire ad abbattere anche questa volta, con ogni argomento, la pagina bianca perfetta. Poi se lo scritto non piace e appatoliamo la carta per lanciarla nel cestino o spegniamo lo schermo del computer dove possiamo correggere e riscrivere sopra, ecco che allora l’incanto svanisce e sparisce quel brivido di adrelanina come quando abbiamo provato prima di scrivere e poi l’insoddisfazione che tutto sia finito. Ma dopo essere riusciti a macchiare il foglio e la sua inarrestabile scomparsa provoca in noi piacere, sempre ogni volta. Del resto, le storie che leggiamo allietano e conquistano proprio perché leggendole troviamo dei sentimenti ed emozioni che ci mettono in sintonia con lo scritto. Le parole che scriviamo si susseguiranno sulla pagina, una dietro l’altra, formando una catena via via più lunga e stringente, tutto diventerà progressivamente legame, relazione a volte passando per strettoie di congiuntivi. Poco per volta come abili tessirori daremo una trama al racconto, con l’ordito delle parole e le pagine che si accumuleranno tracciando un solco vergato di simboli. Si abbiamo usato vergare, con il significato di tracciare linee parallele come nello scrivere a mano una volta nelle pergamene, parola che deriva da virga, verga, bastone. Una volta lo scriba tracciava impalpabili linee, prima di intingere il pennino e disegnare le lettere, in modo che le sue righe fossero perfettamente dritte, come i quaderni di scuola con le righe prestampate. Il gesto del segnare queste linee, il vergare, è sempre stato talmente caratteristico dello scrivere a mano che il suo nome è passato a intendere lo scrivere a mano stesso, non senza una certa solennità. Mi immagino lo scrivere come tracciare di continuo dei solchi, dritti ad ogni riga dove io come un mulo trascino l’aratro dei miei pensieri, e l’emozione guida il giogo con la semina delle parole. Ma a volte nello scrivere non seguiamo la direzione di quel quieto e faticoso solco, scavato con le nostre stesse mani. A volte ci piacciono i colpi di scena o la suspense. Cos’è il colpo di scena se non la capacità di trovare ancora spazio per una deviazione? Cos’è se non una ribellione alla prevedibilità? La meraviglia del lettore è nello scoprire che, nonostante il cammino sia segnato, ci sia ancora spazio per una brusca sterzata. La suspense, invece è simile, come una sosta del respiro. Se nell’esistenza reale l’unica direzione del tempo è la progressione regolare, chi narra può restringerlo o dilatarlo, accelerare o esasperare l’attesa. Con lo scrivere possiamo trasformare il chrònos in kairòs, il tempo cronometrico in un tempo che porta il soggetto fuori da sé. Anzi, forse è grazie a questa facoltà, di cui beneficia anche il lettore, che tutti amiamo le storie. Nello scrivere molte volte facciamo piazza pulita delle azioni scontate, per calarci parola dopo parola im un tempo emotivamente più denso, ripulito dalle scorie della prevedibilità. Ecco al foglio finalmente scritto, parola dopo parola abbiamo macchiato la pagina bianca nel parlare appunto di essa. L’idea iniziale si è trasformata in inchiostro, parole su parole. Le emozioni dall’animo sono state trasformate in parole e di questa trasformazione non ho la formula matematica. Come si vede scrivere è l’arte non soltanto di cercare la parola che più combaci con l’idea, ma quella di entrare in relazione con chi mi legge, nel trasmettere e comunicare emozioni. Scrivere non è solo mettere nero su bianco ma stringere un patto faustiamo con le parole e storie. Tradirlo, beh allora si perde il fascino dello scrivere o no! Favria, 5.09.2022 Giorgio Cortese Buona giornata. Nella vita quotidiana le piccole cosa hanno la loro importanza, è sempre per le piccole cose che ci si perde. Felice
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