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E giungeva il tempo della trebbiatura

E giungeva il tempo della trebbiatura
Anche quest’anno si approssima il tempo della trebbiatura. In passato l’operazione era eseguita sulle aie, utilizzando il correggiato, un rustico attrezzo copstituito da due bastoni di lunghezza leggermente diversa, uniti a una estremità mediante una striscia di cuoio o una robusta corda. Il trebbiatore impugnava il bastone più lungo (il manfanile) e lo muoveva con forza dall’alto in basso: il legno più corto percuoteva le spighe disposte a terra in strati uniformi. Per non intralciarsi a vicenda occorreva che gli operai mantenessero un ritmo regolare, specie se erano in molti a muoversi su e giù per l’aia attorno alle spighe. In alcune cascine, al posto dei correggiati, si preferiva usare il trebbio, uno speciale rullo che veniva passato e ripassato sulle spighe. I trebbi di maggiori dimensioni erano mossi dagli animali da tiro, opportunamente muniti di museruola perché non mangiassero i chicchi; gli altri venivano spinti oppure trascinati da uno o due uomini. In tempi non troppo remoti, alcuni agricoltori si servivano di piccole trebbiatrici a manovella le quali richiedevano comunque una notevole forza fisica per essere azionate. I giorni della trebbiatura erano una festa di suoni e di colori. Dall’alba al tramonto, in cascina regnava una grande animazione. Nessuno restava inattivo. Gli uomini erano alle prese con covoni, correggiati e trebbi; le donne, spazzata accuratamente l’aia per la battitura, preparavano cibi sostanziosi e succulenti, affettavano salami e formaggi, facevano la spola con bottiglie e bicchieri fra la cucina e il cortile; i ragazzini correvano schiamazzando su e giù per l’aia, attingevano acqua fresca al pozzo e scioglievano i covoni dai legacci; gli anziani badavano alle bestie nella stalla. I canti con cui i trebbiatori scandivano il ritmo si perdevano in lontananza nella campagna assolata. Tutti sapevano che in cascina si trebbiava. Spesso i vicini accorrevano a dare una mano. Per togliere di mezzo la paglia dopo la battitura si usavano forconi di legno e rastrelli. I chicchi mescolati alla pula venivano ammucchiati in disparte mediante scope di saggina. Prima del tramonto i lavoranti procedevano alla vagliatura dei chicchi, impiegando il ventilabro di biblica memoria, cioè una capiente pala di legno con la quale lanciavano il cereale in aria. La pula o loppa volava lontano, trasportata dalla brezza serale, mentre i chicchi assai più leggeri si accumulavano a terra. In alternativa, quando non spirava un alito di vento, si eliminava la loppa agitando teli di canapa o sacchi vuoti. Alla fine della giornata, uomini e donne erano stremati dalla fatica. In seguito la mondatura finale del grano fu sostituita dalla crivellatura, un’operazione demandata a un apposito operaio, il vagliatore, che generalmente svolgeva questa attività nel tempo libero, dopo i normali turni in fabbrica, oppure nei giorni festivi. Il suo unico attrezzo di lavoro era un grande setaccio che veniva appeso a un trespolo rudimentale e poi mosso a forza di braccia con gesti ora lenti ora rapidi. A rendere ingrato il mestiere del vagliatore concorrevano la calura estiva e la polvere che si sollevava copiosamente. L’introduzione delle grosse trebbiatrici meccaniche alleviò le fatiche dei contadini. Le prime macchine liberavano i chicchi delle spighe, ma non li separavano dalla paglia e dalle altre impurità. Tuttavia, rispetto ai sistemi tradizionali, i vantaggi erano notevoli. Di norma il movimento veniva generato da una trattrice a vapore; la trasmissione del moto ai vari organi della macchina si effettuava mediante pulegge e cinghie piatte.
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