I leoni di Sicilia & l’inverno dei leoni Ci sono libri che hanno storie che ispirano empatia e quando li leggi vieni preso dal racconto e ti trovi tra i protagonisti senza mai lasciare la tua poltrona dove leggi il libro. Questo è quanto mi è successo leggendo questo romanzo dove pagina dopo pagina, vengo coinvolto e mi identifico con i protagonisti. In questo romanzo si parla della saga di una delle più importanti famiglie imprenditoriali d’Italia. Partiti nel 1799 da Bagnara Calabra, cittadina marittima addossata alle pendici dell’Aspromonte, alla volta di Palermo, gli ambiziosi Florio decidono di far crescere la loro piccola attività di commercio marittimo di spezie: in pochi anni, la loro aromateria diventa la più fornita della città e loro si affermano come i più potenti commercianti di cortice raffinato (usato successivamente per ottenere il chinino) e di zolfo, acquistando case e terreni dagli spiantati nobili palermitani e costituendo una loro compagnia di navigazione. Casa Florio continuerà ad ampliarsi in modo esponenziale sotto la guida di Vincenzo. Le intuizioni e le conoscenze internazionali lo porteranno infatti a fondare, con Benjamin Ingham e Agostino Porry, la “Anglo-Sicilian Sulphur Company” per la produzione e la vendita dell’acido solforico, a dar vita a una cantina per la lavorazione di alta qualità delle uve di marsala, generalmente considerata una bevanda da poveri, e a farne un vino richiesto su scala internazionale, a introdurre un metodo rivoluzionario per la conservazione, e quindi per il commercio e il consumo, del tonno, rendendolo un prodotto in lattina e sott’olio, e a costituire, nel 1840, la prima Società dei battelli a vapore al mondo, le “Flotte Riunite Florio”, che garantiscono i collegamenti tra Palermo, Napoli, Marsiglia e gli altri porti siciliani. È l’ascesa commerciale e sociale di questa famiglia, quella che la Auci ci racconta, una storia che ha fortemente cambiato e rinnovato la Palermo del XIX e del XX secolo, spesso rimasta spettatrice davanti all’espansione dirompente dei Florio. La classe nobiliare siciliana, detentrice di valori antichi e anacronistici ma con il portafoglio vuoto, assiste con disprezzo e invidia ai successi di questi uomini, giunti dalla terraferma con le mani sporche, gli abiti logori, sguardi lunghi verso l’orizzonte e visioni caparbie sul loro avvenire. Notevole è la capacità di tratteggio psicologico che emerge tra i dialoghi. Appassionante, incalzante la trama, dove la fiction si mescola ad eventi realmente accaduti, come i moti rivoluzionari e l’arrivo del colera. Tra le donne del romanzo, non c’è solo la volitiva Giuseppina Saffiotti Florio, tenace e di gran carattere, ma c’è anche Giulia Portalupi, milanese, orgogliosa, compagna di Vincenzo Florio, diventata a sua volta vero e proprio punto di riferimento. Sono donne che hanno precorso i tempi, restie, in un certo senso, ai ruoli imposti dalla società e che hanno dimostrato coraggio. In questo romanzo c’è il sapore del verismo verghiano, che lega con il sapore del sale marino, l’odore penetrante delle spezie, lo sguardo che abbraccia affamato i colori delle stagioni palermitane e trapanesi. Quel legame con la Sicilia del “ciclo dei vinti” resta in sottofondo per tutta la lettura del libro, come una presenza spettrale e inquieta che ha il suo nodo più stretto nell’impossibilità per l’uomo di uscire dalle proprie umili origini, nonostante gli sforzi per giungere a uno stile di vita benestante. Come Mastro-don Gesualdo, anche Vincenzo Florio, allo stesso modo del padre Paolo e dello zio Ignazio, resterà per sempre uno “straniero”, un “bagnaroto”, un “facchino”. Questo romanzo narra un pezzo di storia dell’umanità è reso ancor più vivo ed efficace dalla profondità con cui l’autrice entra nella mente dei personaggi: le frasi sono brevi, all’apparenza semplici, il linguaggio è scorrevole, con alcuni termini dialettali che lo rendono ancor più tridimensionale ed evocativo. In questo modo impressionistico, poche pennellate disegnano precisamente i pensieri dei protagonisti, rendendone la concretezza dei punti di vista e la complessità del quadro d’insieme. Nel secondo romanzo dedicato a questa famiglia abbiamo “L’inverno dei leoni”, che non regala un lieto fine. Questa famiglia passa dalle stelle alle stalle ricalcando quel modello classico per cui la prima generazione costruisce le fortune, la seconda generazione le consolida, la terza le dissolve riducendo in molti casi in miseria chi aveva avuto la fortuna di ereditare tali imperi economici. Con le dovute differenze, il pensiero va ai Buddenbrook, il capolavoro di Thomas Mann che il grande scrittore tedesco pubblicò all’età di ventisei anni. E a richiamarlo c’è anche una buona ricostruzione delle condizioni sociale di quella Sicilia del periodo in questione, ed in particolare di una borghesia che non riesce a fissare orgogliosamente la propria identità e aspira solo a ripetere i modelli formali della vecchia aristocrazia. Qui si vede la figura di Ignazio Florio jr., che si trova giovanissimo ad ereditare un impero economico, senza averne la giusta maturità per governarlo, per cui appare schiacciato dal confronto con la figura del padre che invece l’aveva saputo fare. L’autrice ne disegna bene il profilo, a cominciare dal suo orgoglio dell’appartenenza, cioè del portare quel nome Florio onorato e riconosciuto come simbolo di successo economico e sociale a livello di opinione pubblica internazionale. Ma anche i limiti che lo contraddistinguono, la realtà di un uomo dominato dalle pulsioni, che non sa resistere ai richiami dei piaceri carnali per soddisfare i quali è pronto a dilapidare fortune. Un personaggio che già dall’avvio porta il segno della sconfitta. E poi, donna Franca Florio, una aristocratica decaduta, che sogna di vivere alla grande e che nelle attenzioni che le presta il giovane Ignazio, che la sposerà più per capriccio che per amore, scopre lo strumento per realizzare i suoi sogni. Una donna che entrata in casa Florio anche, e forse soprattutto, per realizzare il sogno della ricchezza e del lusso, può permettersi tutto e si permette tutto, una donna che vive alla grande pensando che dal sogno non si sveglierà mai. Una donna ferita dalla perdita nel giro di pochissimo tempo di tre figli, evento che la turba profondamente ma non fino al punto di farla rinunciare ai piaceri che la sua condizione le permetteva di soddisfare. Una donna che scambia la propria dignità, sopporta cioè i continui tradimenti del marito, con superfluità e i piaceri che la ricchezza può offrire. Una donna, ed è questa una delle pagine più belle del libro, che in un momento drammatico, quello del furto dei suoi favolosi gioielli, rivela di amare più quelle gioie che le sue stesse figlie. Ma anche il contesto ambientale, un mondo che senza accorgersene scrive, una dopo l’altra, le pagine della sua fine che è anche la fine del sogno di una Sicilia diversa da quella che conosciamo, cioè di una Sicilia che finalmente avrebbe potuto cogliere i segni della modernità invertendo la spirale di parassitismo e sperpero di risorse che, purtroppo ne ha segnato la storia. Favria, 12.05.2022 Giorgio Cortese Buona giornata. Ogni giorno la violenza, anche quella verbale è il rifugio degli incapaci. Felice giovedì.
Commentiscrivi/Scopri i commenti
Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter
...
Dentro la notiziaLa newsletter del giornale La Voce
LA VOCE DEL CANAVESE Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.