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23 Settembre 2021 - 11:19
Mancano circa due settimane al voto per scegliere i sindaci e le coalizioni che governeranno diverse grandi città e alcuni capoluoghi di Regione: Trieste, Milano, Bologna, Roma, Napoli e Torino.
Agli inizi di settembre uno studioso di comunicazione politica non solo considerava Torino contendibile ma, come fanno di solito gli scienziati, proponeva di leggere i risultati delle prossime elezioni come verifica delle tendenze di lungo periodo, le sole che ci consentono di sterilizzare le analisi da fuorvianti fattori contingenti. Il fattore di lungo periodo sarebbe la riduzione del perimetro del centrosinistra, «un fenomeno che possiamo definire strutturale e stimato in una perdita di 117 mila voti».
Osservando le serie storiche, balzano all’occhio infatti i risultati in termini di voti assoluti dei singoli candidati: tra Sergio Chiamparino nella sfida del 2001 che al ballottaggio ottenne 285 mila voti (con il 52,82 per cento dei consensi) e Piero Fassino (del 2016) che al ballottaggio ottenne 168 mila voti con il 45,44 dei consensi, ci sarebbero proprio quei 117 mila voti in meno.
L’altro elemento che occorre mettere in luce, fattore tutt’altro che trascurabile per una qualsivoglia analisi politica, è l’ormai consolidata diserzione dalle urne di un numero via via più consistente di elettori. La diminuzione dei votanti, tasto dolente e ormai consolidato anche per le competizioni comunali, fa presupporre che solo un torinese su due si recherà alle urne.
Inoltre, dopo il trentennio 1961-1981 nel quale Torino ha superato il milione di abitanti, nel 2001 la città contava gli stessi abitanti di oggi, circa 866 mila.
Sono quasi trent’anni che il sindaco è eletto direttamente dai cittadini, per consentire a questi di «scegliere la sua squadra», aumentando così la sua responsabilità davanti agli elettori. Questa campagna elettorale contrassegnata dalla guerriglia verso Lo Russo da alcune liste della sua coalizione allo scopo di essere maggiormente «valorizzate», dimostra il contrario. La differenza è solo che adesso lo sappiamo prima del voto.
Nel 1995, con l’elezione diretta del sindaco, i torinesi poterono scegliere tra 10 candidati sindaco e 19 liste: vinse Valentino Castellani. Il 3 e 4 ottobre prossimi saranno a disposizione dei torinesi 13 candidati e 27 simboli.
Per entrare a piedi giunti nella questione, proviamo a chiederci chi, tra gli schieramenti in campo, vincerà le elezioni. Finita la capacità dei partiti di fidelizzare e legare a sé i propri elettori, oggi ha buone possibilità di successo il candidato che è capace d’incarnare il cambiamento e non solo di essere l’alternativa possibile all’amministrazione uscente. Va da sé che stavolta a Torino sulla graticola non c’è il candidato di centro-sinistra, castigato dagli elettori cinque anni orsono. I torinesi però non sembrano essere tornati in sintonia con una coalizione a trazione Pd, per quanto nei confronti pubblici il candidato sindaco, di volta in volta, sottoponga ad autocritica o valorizzi alcune scelte del passato: un po’ quel «rinnovamento nella continuità» che ha costituito la fortuna di un partito dell’altro secolo.
Vedremo.
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