Granciporro e altre antiche parole! Complice il gradito regalo di compleanno di un vocabolario del 1868 con parole ormai dimenticate, ecco il breve racconto. Un giorno l’altezzoso Granciporro, errore madornale, uno strafalcione, per fare il galante come un sagittabondo, una persona che scocca sguardi che fanno innamorare si vesti in maniera sciamannata, trasandata e per la strada incontrò una peripatetica, una passeggiatrice di strada dal trucco che rendeva il viso artefatto, artificioso. Con lei Granciporro abbacinato, momentaneamente accecato dalla sgarzigliona, fanciulla prosperosa inizia con lei un dardeggio, scambio di frasi scherzose. Ma ecco che arriva un gaglioffo, ribaldo, briccone, che lo apostrofa, lo assale con discorsi concitati e con atteggiamento da perfetto smargiasso, vantando e ingigantendo le proprie qualità di solipsista, tipico atteggiamento di chi vede solo il proprio mondo e chiede una buonamano, una mancia per continuare a parlare con la sgarzigliona. Granciporro precipitevolissimevolmente, in modo estremamente precipitevole capisce quanto stolido, poco intelligente sia il suo interlocutore dal modo di parlare eristico, persona polemica per natura, si accomiata cambiando il percorso della passeggiata anche se il suo animo è misoneista, persona che odia i cambiamenti e riprende a passeggiare. Prosegue e trasecola, prova grande stupore, mentre come peripatetico, ciò che accade mentre passeggia, incontra Zuzzurellone, un giovane adulto che si comporta ancora come uno spensierato bambino. Zuzzerellone ha atteggiamenti pleonastici, inutili, nel suo sproloquio, discorso prolisso e inconcludente divenendo pure tracotante, arrogante, nel dire cosa Granciporro doveva procrastinare, rinviare nei giorni successivi. Zuzzerellone con parole lapalissiane, scontate, aveva un parlare simile ad un girandolare, girare senza un fine preciso lasciando Granciporro trasecolato. Granciporro sconcertato riprende a passeggiare per tornare a casa meditabondo, immerso in meditazione su quanto era stato bislacco, strambo, Zuzzerellone. Passo prima dal signor Neralbo, che ha contrasti di chiaro e scuro, per ritirare la bolgetta, borsa di piccole dimensioni, simile a una cartella, usata per portare documenti o posta. Poi passò ad acquistare un calamistro, arricciacapelli, uscito dal negozio pensò che quel acquisto subitaneo, improvviso, era pleonastico perché lui era calvo. Entro dopo dal gioielliere Lùteo, aggettivo che significa di giallo intenso, dicendo che era rimasto abbacinato dall’anello in vetrina, ne chiese il prezzo ma non comprò nulla. Tornò a casa e la fantesca, collaboratrice familiare, aveva preparato un tornagusto, cibo o bevanda che stuzzica l’appetito, e poso sul mobile d’ingresso il cappello ormai frusto, logoro e parlò con la fantesca con linguaggio forbito, accurato prima della cena luculliana, abbondante e raffinata. Verso la fine della cena la sua mente inizia ad obnubilarsi, per l’ottimo cibo e l’abbondante vino e sogno di andare nel paese di Vattelapesca, vallo a sapere, per rimanere ammaliato, affascinato dalla profumo ulimoso della signorina Facondia, famosa nell’eloquenza del parlare in modo chiaro e semplice lui che si considera solo un sacripante, una persona grande e grossa, forse un tantino opimo, grasso, ma sicuramente probo, onesto forse non sarebbe mai riuscito a chiederle la mano. Favria, 8.06.2021 Giorgio Cortese Buona giornata. Se certe liti durano tanto, è perché il torto non è mai da una parte sola. Felice martedì.
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