L’accendino Scusi, ha da accendere? Quante volte mi è già stata posta questa domanda, peccato che essendo non fumatore non abbia mai posseduto un accendino. Oggi diamo per scontato che si possa avere in tasca un accendino, oggetto che dispensa fuoco costituito da un piccolo serbatoio di combustibile che si incendia grazie alla scintilla prodotta da una pietrina sfregata dalla ben nota rotella zigrinata, ma un tempo, però, non era così. La capacità di addomesticare il fuoco è uno degli ingredienti del successo per il genere umano, poiché consentì di cuocere i cibi, scaldarsi, tenere lontani i predatori e forgiare utensili metallici e armi. Il merito di questa scoperta spetta all’ Homo Erectus, che dominò il fuoco circa 1,5 milioni di anni fa. I primi metodi per produrre fiamme erano due: lo sfregamento di un bastoncino di legno sopra a una tavoletta, spesso aiutandosi con l’uso di un archetto, la cui cordicella veniva avvolta intorno al bastoncino per farlo ruotare velocemente sul suo asse, e la percussione di pietre dette focaie, pirite e selce. La frizione generava piccole scintille che incendiavano fogliame e ciuffi di erba secca, la cosiddetta esca, da cui propagare poi le fiamme a più durevoli rami essiccati. Il fuoco portò alla metallurgia, che a sua volta rese possibile un altro metodo di accensione, legato all’uso di uno strumento detto acciarino: una piccola piastra metallica dalla superficie ruvida su cui veniva battuta la pietra focaia. Fu questa la soluzione più pratica per tutta l’antichità, il Medioevo e l’Età moderna. Il primo primo accendino fu realizzato solo nel nel 1823 dal chimico tedesco Johann Wolfgang Döbereiner (1780- 1849), ma si trattava di un oggetto ben diverso rispetto a quelli che conosciamo oggi. Assomigliava a una lampada da tavolo, e per quanto efficace non ebbe molto successo. La vera nascita dell’accendino iniziò però nel 1823, quando Johann Wolfgang Döbereiner creò la lampada di Döbereiner: si trattava di un contenitore di vetro all’interno del quale una reazione chimica tra acido solforico e zinco generava una certa quantità di idrogeno gassoso che, rilasciato tramite una valvola, s’infiammava entrando in contatto con un filamento di platino, accendendo uno stoppino. Le dimensioni eccessive e gli alti costi di produzione ne fecero tuttavia un prodotto di nicchia. Si continuò così a ricorrere al vecchio acciarino, oppure a una nuova invenzione datata 1827: i fiammiferi. Questi ultimi vennero messi a punto in modo fortuito dal chimico inglese John Walker che, lavorando a una miscela di solfato di antimonio e clorato di potassio, notò come parte di essa fosse sgocciolata su un bastoncino di legno, seccandosi. Quando provò a pulire il legnetto, strofinandolo a terra, esso prese improvvisamente fuoco. Migliorata la miscela, realizzò quindi altre tipologie di fiammiferi, dei quali vi è peraltro traccia già nella Cina medievale, dove si usavano bastoncini di pino impregnati di zolfo, poi ulteriormente perfezionati dal chimico svedese Gustaf Erik Pasch, inventore degli svedesi. Mentre i fiammiferi s’imponevano, all’inizio del XX secolo vennero prodotti i primi modelli tascabili di accendino, basati su una piccola pietra focaia, costituita da una speciale lega metallica realizzata dal chimico austriaco Carl Auer von Welsbach che veniva collocata sulla sommità di un piccolo cilindro metallico riempito di gas combustibile. Un primo boom degli accendini si registrò dagli anni Venti, grazie a modelli pratici, funzionali e dal design accattivante come quelli prodotti dall’azienda americana Ronson. Ottima accoglienza ebbe nel 1926 il Banjo, alimentato a benzina e in grado di generare una fiamma spingendo un piccolo pulsante. Un ulteriore passo avanti fu compiuto nel 1933 dal designer e inventore statunitense George Grant Blaisdell, che progettò un accendino comodo da impugnare e utilizzabile anche con condizioni atmosferiche non ottimali, dotato di una chiusura a cerniera apribile con uno scatto delle dita, si dice di apertura flip top, nonché di una piccola gabbia metallica per proteggere il fuoco dal vento, era nato il mitico Zippo, dal nome dell’azienda produttrice, destinato a imporsi come uno dei modelli più venduti di sempre. Anch’esso è alimentato da benzina, che impregna un sottile stoppino. Nel secondo dopoguerra iniziarono poi a diffondersi gli accendisigari da automobile, basati sul surriscaldamento di una resistenza metallica a spirale, tramite la corrente della batteria. Per quanto riguarda i modelli “tradizionali”, la parte del leone dal 1973 la faranno i rivoluzionari modelli “usa e getta” della Bic, azienda creata dall’imprenditore italo-francese Marcel Bich. Realizzati in plastica colorata ed estremamente economici, diverranno per molti sinonimo di accendino, così come capitato alle penne a sfera prodotte dalla stessa Bic a partire dal 1945. Nei decenni seguenti, sempre più aziende hanno quindi puntato sulla commercializzazione di modelli usa e getta (nei quali l’alimentazione non è più costituita da benzina, ma prevalentemente da Gpl) e con la fiamma di intensità regolabile. Ma i nuovi arrivati non hanno fatto uscire di scena i classici “ricaricabili”, Zippo in primis. Nonostante la concorrenza di accendini elettrici e di varianti da ricaricare via Usb, in cui la fiamma è sostituita da scariche elettriche quello che è importante nella vita è di accendere sempre un sogno dentro di noi. Perché tutti i noi ogni giorno camminiamo nel buio e ognuno di noi deve imparare ad accendere la propria luce e se teniamo accesa la fiamma nel nostro cuore non sentiremo mai il freddo della buia notte. Favria, 8.05.2021 Giorgio Cortese Nella vita ci sono cose che ti cerchi e altre che ti vengono a cercare.
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