Marzo 1821 Tra le rivoluzioni borghesi del secolo XIX che realizzarono, dal 1799 al 1860-61 passando per il Quarantotto, l’unità d’Italia, ce n’è una che sembra essere considerata un evento minore, sono i moti del 1820-21. Forse perché troppo vicina all’avventura napoleonica che mise a soqquadro l’Europa o forse perché quei rivolgimenti sono legati alle società segrete oppure perché i moti di liberazione presero spunto dalla Spagna in cui il sovrano, Ferdinando VII di Borbone, fu costretto nel 1820 a richiamare in vigore la Costituzione di Cadice del 1812, che poi avrebbe di nuovo revocato con il trionfo della reazione assolutista nel 1823. I moti del 1821 sono un poco trascurati, eppure dal luglio del 1820 al marzo del 1821, un’unica aspirazione costituzionale percorse tutta la penisola italiana, allora ancora solo una espressione geografica, obbligando le monarchie, Borbone e Savoia a concedere la Costituzione. Il filo conduttore dei moti è proprio il pensiero costituzionale legato al sentimento religioso cattolico. Grandi nomi sono legati a quegli eventi, da Silvio Pellico, che fu rinchiuso nella fortezza dello Spielberg e scrisse “Le mie prigioni”, che furono un atto di accusa contro l’Austria, e Santorre di Santarosa, che spinse Carlo Alberto a concedere la Costituzione in Piemonte. Nel regno dei Borboni il generale Gabriele Pepe, fu il punto di riferimento dell’esercito da cui partì la rivoluzione, e Pietro Colletta, che ci ha lasciato la Storia del Reame di Napoli con la cronaca degli eventi rivoluzionari, e poi le figure di Giuseppe Poerio e Michele Carrascosa che, tra gli altri, furono esiliati. Così come era accaduto nel 1799, quando la Repubblica era stata travolta dalle forze sanfediste del cardinale Fabrizio Ruffo, gli esuli napoletani crearono una rete di relazioni, chiamata da Croce la “famiglia italiana”, che sarà fondamentale ai fini del processo di unificazione nazionale. Nel 1821 nel Patrio Stivale con quei moti matura la coscienza politica italiana che lotta per ottenere libertà costituzionali. Il 2 luglio il tenente Michele Morelli e il sottotenente Giuseppe Silvati a Nola disertarono con 127 sottufficiali e soldati, guidati dal prete carbonaro Luigi Minichini si diressero verso Avellino. Il vero capo del movimento rivoluzionario-costituzionale era il generale Pepe che, partito da Napoli, si ricongiunse ai suoi uomini controllando quell’esercito che garantiva sia la forza della rivoluzione sia la pace dell’ordine pubblico. Perché, va sottolineato, la rivoluzione del 1820-21 non comportò un grande spargimento di sangue. Il re Ferdinando I si ritirò lasciando al figlio Francesco il compito, in qualità di vicario, di reggere il governo. Da quel momento in poi ogni tappa fu bruciata: il 6 luglio fu concessa la Costituzione, sottoscritta da Ferdinando I. Il 9 luglio ci fu l’intesa tra Pepe e Francesco per una grande sfilata per le vie di Napoli e il generale ebbe il comando dell’esercito fino alla prima assemblea del Parlamento, la bandiera del Regno restò, ma vi fu aggiunto il tricolore come insegna della Carboneria. Nacque un nuovo governo composto da politici e intellettuali già fedeli al precedente re Gioacchino Murat che fu il primo a concepire un’Italia unita, composto da Francesco Ricciardi, Giuseppe Zurlo, Luigi Macedonio, Michele Carrascosa, tra gli altri. Il 13 luglio ci fu il giuramento e giurò solennemente anche re Ferdinando I. Il 22 luglio furono indette per il 20 e 27 agosto e per il 3 settembre le elezioni per il Parlamento. I problemi giungevano da Vienna, che già minacciava di marciare su Napoli, e dalla Sicilia che aveva una sua via indipendente alla rivoluzione e alla Costituzione. Tuttavia, in poco tempo un grande risultato era stato raggiunto e forse, troppo poco tempo. Una monarchia costituzionale non può reggersi se il sovrano rifiuta la Costituzione. Così Ferdinando I, dopo aver giurato sulla Costituzione, comunicò il 7 dicembre al Parlamento di essere stato convocato a Lubiana dai sovrani della Santa Alleanza e appena fuori dal porto dichiarò nullo tutto quanto avvenuto fino a quel momento. Il sovrano era legato con l’Austria da un patto segreto con cui si impegnava a difendere il regime assolutista e a respingere ogni ordine costituzionale e il 23 marzo le truppe austriache entravano a Napoli e la rivoluzione era tramontata. In Piemonte l’origine della rivolta era anche qui dell’esercito, quando il 10 marzo si sollevò la guarnigione di Alessandria e rapidamente la rivolta si estese a Vercelli e Torino. Anche qui vi fu un rapporto ambiguo con la monarchia che si materializzò nella figura di Carlo Alberto, il quale era erede presuntivo al trono per l’assenza di discendenti diretti di Vittorio Emanuele I e del fratello Carlo Felice. Del movimento costituzionale facevano parte giovani rappresentanti della nobiltà come Cesare Balbo e Giovanni Provana di Collegno, membri della società dei Federati ed esponenti del patriziato milanese. In gioco vi era l’ostilità verso l’Austria e la possibilità di conquiste territoriali. Così Carlo Alberto prima promise l’appoggio alla cospirazione e poi fece marcia indietro, ma troppo tardi. La prima conseguenza della rivolta fu l’abdicazione di Vittorio Emanuele I in favore di Carlo Felice che, trovandosi a Modena, nominò Carlo Alberto reggente. Gli insorti chiesero la Costituzione e Carlo Alberto la concesse, fatta salva l’approvazione del re. Che, infatti, non ci fu: Carlo Felice sconfessò Carlo Alberto e gli intimò di ritirarsi a Novara. Ma ancora una volta il reggente si dimostrò ambiguo: prima si schierò con i rivoluzionari e nominò Santorre di Santarosa ministro della Guerra, e poi la notte del 21 marzo li abbandonò, ritirandosi nella fortezza di Novara. Di conseguenza, mentre gli austriaci entravano a Napoli, un altro corpo di spedizione asburgico venne inviato per dar manforte al maresciallo de La Tour in Piemonte. Le forze ribelli guidate da Santarosa nulla potettero. La rivoluzione era finita. Avanzava la reazione. Una dura reazione, quella che non c’era stata subito dopo il Congresso di Vienna. Carlo Felice epurò l’esercito, chiuse l’università, fece eseguire condanne a morte, a Modena furono giustiziati nove carbonari, tra i quali il prete Giuseppe Andreoli. Sì, perché la caratteristica dei moti del 1820-21 è il coinvolgimento del clero rivoluzionario, sacerdoti, soprattutto nelle province, aderirono alla Carboneria, nella quale videro il mezzo per il miglioramento della loro vita sociale e la conferma della fede cattolica riformata per via costituzionale. Non a caso tra i deputati del Parlamento del Regno delle Due Sicilie furono eletti nove sacerdoti, tra cui l’arcidiacono Giuseppe Desiderio, il prete Mariano Semmola e il cardinale Giuseppe Firrao. Favria, 18.03.2021 Giorgio Cortese Anche oggi se avrò aiutato una sola persona a sperare non avrò sprecato la giornata invano. Ti aspettiamo a Favria VENERDI’ 26 marzo 2021 cortile interno del Comune dalle ore 8 alle ore 11,20. Abbiamo bisogno di Te. Dona il sangue, dona la vita! Attenzione a seguito del DPCM del 8 marzo 2020, per evitare assembramenti è necessario sempre prenotare la vostra donazione entro giovedì 18 marzo . Portare sempre dietro documento identità. a Grazie per la vostra collaborazione. Cell. 3331714827- grazie se fai passa parole e divulghi il messaggio
Commentiscrivi/Scopri i commenti
Condividi le tue opinioni su Giornale La Voce
Resta aggiornato, iscriviti alla nostra newsletter
...
Dentro la notiziaLa newsletter del giornale La Voce
LA VOCE DEL CANAVESE Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.