Un’altra chiusura, l’ennesima. È un momento amaro, ed è il segnale dell’Italia che non va. Per quale motivo un paese che fino a vent’anni fa tirava come una locomotiva si sta adagiando su se stesso fino a perdere la strada dello sviluppo, dell’impresa, del coraggio che in passato lo ha contraddistinto? La vicenda IPB di Brandizzo, dove lavorano numerosi settimesi, è emblematica di una comunità che rischia di perdere la bussola. Perché le aziende chiudono? La storia dell’IPB, come già della Martor, di Embraco, Comital, è una lunga tradizione di volontà, coraggio, caparbietà, saperi, tecnologica. Non ha senso gettare alle ortiche tutto ciò. Operai, impiegati e dirigenza trovino la strada del dialogo e facciano di tutto per rimettere l’azienda sui giusti binari. Bisogna smettere di delocalizzare le produzioni. Le quali, vedrete, quando altrove le maestranze chiederanno qualcosa in più, verranno spostate ancora più lontano, o forse più vicino, perché a forza di bruciare lavoro diventeremo noi il popolo a basso costo e allora tutto tornerà là dove è nato. Ma sarà troppo tardi, e la povertà l’avremo soltanto trasferita, non abbattuta. Vogliamo ricordare la dignità e il coraggio degli uomini e delle donne che stanno lottando e lotteranno ancora per difendere il loro posto di lavoro. Padri di famiglia, madri, mogli che in questi giorni hanno portato il loro contributo enorme. Quelle persone che non si perdono d’animo, che trovano in una protesta pacifica la motivazione per difendere il loro lavoro. Le lavoratrici e i lavoratori IPB ci insegnano il senso dell’unità, della forza, dell’umiltà con una dimostrazione pacifica che vuole gridare al mondo, con dignità, quale e quanta sofferenza c’è nel vedere messo in pericolo il proprio lavoro. Bisogna stare con i tanti cittadini che stanno dimostrando solidarietà e amicizia con i lavoratori e chiediamo all’impresa di fare loro questo nostro appello: tornate sui vostri passi, fermate la chiusura di uno stabilimento ricco per competenze, tecnologia, umanità e organizzazione. Avete un dovere sociale fondamentale: il lavoro, che è dignità, partecipazione. Il lavoro, che è socialità, famiglia, serenità. Il lavoro, che è fatica. Il lavoro, che è lavoro. Perderlo, offenderlo è un’onta grave di cui la nostra società deve smettere di macchiarsi.
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