AGGIORNAMENTI
Cerca
04 Gennaio 2021 - 16:12
Il Movicentro di Chivasso è punto di arrivo e di partenza per migliaia di studenti pendolari dell’intera area chivassese
“Non esiste vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”, diceva il filosofo latino Seneca: ecco, questa è esattamente la sensazione che potete provare se, per caso, vi è capitato, in triste sorte, di dover fare l’insegnante per campare. E, di fronte all’infuocato dibattito sulla necessità di aprire le scuole il sette di gennaio, l’unica, sensata, riflessione che sovviene è la stessa dei due “fruttaroli” borgatari, Augusta e Remo, (protagonisti di un vecchio film di Sordi), che si sforzano di capire il significato artistico di un muro di cemento alla Biennale di Venezia: “noi non potemo capì…”.
No, proprio non riusciamo a capire, o forse purtroppo sì, se dietro questa temporanea, sperticata, attenzione alla Scuola, proclamata con frasi ad effetto, che parlano di “settore nevralgico”, di “ultimo baluardo da difendere”, si nasconda la solita retorica populista, tanto cara alla politica, o corrisponda, invece, un’effettiva volontà di investire attenzione e soldi in un settore notoriamente dimenticato dagli dèi.
Al netto degli odiosi proclami, strumentalizzati dalla bagarre politica, o dai dottoroni da tastiera, non siamo ancora riusciti a capire se, e quanto, l’apertura delle scuole incida sulla diffusione del contagio. Sinceramente, la sensazione è che a poco valgano le statistiche europee a cui ci si appella ora, per dire che l’impatto sarebbe pressoché nullo. Le scuole europee non sono le scuole italiane, ubicate, per lo più, in edifici datati, se non addirittura fatiscenti, spesso difficili da raggiungere con i mezzi pubblici. Un esempio concreto: ogni mattina, centinaia e centinaia di studenti, diretti alle scuole superiori chivassesi, prendono pullman sui quali viaggiano stipati come acciughe, ormai da tempo immemore. Se, entro il sette di gennaio, il problema non viene risolto, come potremo pensare di far viaggiare i nostri ragazzi con tranquillità?
In questa fase, in cui tutti vorremmo riuscire a rimettere in moto la scuola, in sicurezza, poco ci importa di chi sia la responsabilità della mancanza di adeguati mezzi di trasporto; quello che vorremmo è una soluzione, perché credo che, se gli esperti europei che elaborano le statistiche facessero un giro al Movicentro, alle otto meno un quarto del mattino, probabilmente cambierebbero idea. Carina la proposta dei due scaglioni di entrata in classe, uno alle otto ed uno alle dieci, senza pensare che, non essendoci mezzi di trasporto, gli sfigati delle dieci dovrebbero comunque partire alle otto e arrivare a casa alle sei di sera, se, eventualmente ci saranno pullman disponibili per riportarli indietro.
Ma, chissà..? In fondo, mancano ancora diverse ore al sette di gennaio, la befana deve ancora arrivare e, se stiamo bravi, magari…
Un’altra riflessione: a scuola i ragazzi devono stare seduti ad un metro di distanza, da bocca a bocca, così come previsto a settembre, con l’obbligo della mascherina e, francamente, va detto che le metrature delle aule, nella maggior parte dei casi, non permettono distanze maggiori.
Bene, in sincera onestà, chi di noi, in questi tempi di contagio più aggressivo, se la sentirebbe di stare sei ore seduto accanto ad un estraneo, a un metro di distanza, metro che ogni tanto si riduce pure, perché gli esseri umani, specie a cui appartengono anche gli studenti, tendono a muoversi?
Chi lo fa?
E, se davvero si può fare, allora si può anche stare seduti al bar, contingentati, va bene, perché i tavolini sono certamente più distanti di un metro, e nessuno, normalmente, ci sta per sei ore; si può visitare un museo, tanto, purtroppo, lì ci vanno quattro gatti, o si può mandare qualche migliaio di tifosi allo stadio, perché, per tanti che siano, non saranno mai i dieci milioni di esseri umani che l’apertura delle scuole mette in moto ogni santa mattina.
“Stiamo mettendo a repentaglio l’istruzione di intere generazioni”, tuona qualcuno: ah, se solo ci avessimo pensato ai tempi dei debiti formativi…; “i ragazzi perdono opportunità di socializzazione”, declamano le mamme che, quando siamo in fascia gialla, col cavolo fanno venire a casa le amichette delle figlie; “è ora che gli insegnanti tornino a lavorare”, gridano le partite IVA, appellandosi a chi sostiene la necessità di fare recuperare il tempo scolastico perduto con la didattica a distanza.
E in mezzo noi, gli insegnanti, che passiamo ore a preparare lezioni multimediali, usando strumenti tecnologici che ti sembra sempre che ce l’abbiano con te; che ci inventiamo interrogazioni “per competenze”, perché i ragazzi, dall’altra parte dello schermo, copino, ma non troppo; che facciamo gli sportelli per chi non ha capito; che ci preoccupiamo affinché tutti i nostri studenti abbiano un computer o un tablet, o qualche altra diavoleria, per non restare indietro; noi insegnanti, che, se è vero che stiamo facendo solo il nostro dovere, ci siamo rotti le palle di sentircelo ripetere da chi pensa che insegnare sia sedersi dietro una cattedra per declamare nozioni e che, soprattutto, pensa di farlo ogni giorno, con qualche sgrammaticato post su un social. Un tormento infinito…
D’accordo con Arthur Bloch: “La conclusione è il punto in cui ti sei stufato di pensare”.
Edicola digitale
I più letti
LA VOCE DEL CANAVESE
Reg. Tribunale di Torino n. 57 del 22/05/2007. Direttore responsabile: Liborio La Mattina. Proprietà LA VOCE SOCIETA’ COOPERATIVA. P.IVA 09594480015. Redazione: via Torino, 47 – 10034 – Chivasso (To). Tel. 0115367550 Cell. 3474431187
La società percepisce i contributi di cui al decreto legislativo 15 maggio 2017, n. 70 e della Legge Regione Piemonte n. 18 del 25/06/2008. Indicazione resa ai sensi della lettera f) del comma 2 dell’articolo 5 del medesimo decreto legislativo
Testi e foto qui pubblicati sono proprietà de LA VOCE DEL CANAVESE tutti i diritti sono riservati. L’utilizzo dei testi e delle foto on line è, senza autorizzazione scritta, vietato (legge 633/1941).
LA VOCE DEL CANAVESE ha aderito tramite la File (Federazione Italiana Liberi Editori) allo IAP – Istituto dell’Autodisciplina Pubblicitaria, accettando il Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.